Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell'IPA

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rientrando a forza nell’Io, e facendovi rientrare a forza le parti cattive del sé in esse contenute”. (1988, p. 117) Molto influenzata dalle idee di Bion, Betty Joseph ha fornito ulteriori contributi che si concentrano sulla natura e la funzione dell’identificazione proiettiva nel setting analitico. Joseph (1998) realizzò che durante la seduta il paziente induce o “spinge” inconsciamente l’analista a partecipare a vari agiti (enactments), che talvolta si traducono nel fatto che l’analista si metta eccessivamente a proprio agio con il paziente o altre volte diventi inutilmente rigido. Queste pressioni prendono la forma di piccole identificazioni proiettive nell’analista di aspetti del paziente, o di oggetti del paziente, attraverso l’uso del linguaggio verbale, tono, ritmo e impalpabili sollecitazioni. In altre parole, Joseph pensava che il paziente fosse in grado di creare un’atmosfera capace di esercitare un effetto reale sull’analista. Ciò è in accordo con il concetto di “identificazione proiettiva realistica” di Bion. In tal modo, Joseph ha sottolineato il collegamento esistente tra l’identificazione proiettiva e il transfert. Spillius (2007) fa riferimento a tre idee centrali di uso corrente riguardanti l’identificazione proiettiva. In primo luogo, è una fantasia inconscia che può essere attualizzata mediante un’attività evocativa – ma quest’ultima non è parte indispensabile della definizione. Secondo, qualsiasi tentativo di distinguere tra “proiezione e “identificazione proiettiva” è probabilmente inutile. Terzo, il controtransfert è in misura considerevole una risposta alle identificazioni proiettive del paziente. D. Metzler può essere considerato lo psicoanalista che ha trasmesso alle nuove generazioni una sintesi delle scoperte di Freud, Klein e Bion nella pratica clinica e nella metapsicologia (Meltzer,1978). Tra molti altri, Salomon Resnik (1999, 2006, 2011), Mireille Fognini (2014), José Juis Goyena (2020, 2012), Florence Guignard (2017-2020, 2021), François Lévy (2014) in Francia; e Mauro Mancia (1981, 2004, 2006), Claudio Neri (2006, 2013), Fernando Riolo (2019), Antonino Ferro (2017),e Giuseppe Civitarese (2017) in Italia, hanno utilizzato le teorie psicoanalitiche di Bion nel loro lavoro clinico quotidiano e continuano a diffonderlo nelle rispettive società psicoanalitiche e nei propri ambiti di influenza. In Svezia, Johan Norman (2001), Björn Salomonsson e Majlis Winberg-Salomonsson (2014-2016) hanno elaborato anche nuovi modi di applicare le idee di Bion. (Vedi sotto: “Identificazione proiettiva nella pratica analitica”). II.B. GLI SVILUPPI DEL CONCETTO IN NORD AMERICA Negli Stati Uniti Otto Kernberg , (1987, p. 94), mantenendo la concezione kleiniana di identificazione proiettiva come difesa patologica, la descrive come una sequenza in quattro tempi in cui: (i) il soggetto che proietta espelle aspetti intollerabili dell’esperienza intrapsichica dentro un oggetto ricettivo; (ii) il soggetto mantiene l’empatia con ciò che è proiettato; (iii) con una mossa difensiva, per controllare le angosce dovute all’espulsione, il soggetto tenta di

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