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controllare l’oggetto; (iv) il soggetto induce nell’oggetto ciò che prima era stato espulso dentro l’oggetto, attraverso una reale interazione con l’oggetto ricettivo. In Nord America, alcuni analisti che lavorano da una prospettiva interpersonale/relazionale , sono arrivati a considerare l’identificazione proiettiva come un processo bidirezionale, che non è solamente una fantasia inconscia (secondo la Klein), ma comporta una vera interazione tra paziente e analista. Analogamente, Ogden (1982) considera l’identificazione proiettiva una normale forma di comunicazione tra paziente e analista, che può essere di natura più o meno patologica a seconda dei contenuti mentali espulsi. Egli descrive il processo nel modo seguente: “Chi proietta ha la fantasia principalmente inconscia di liberarsi di una parte di sé indesiderata o a rischio (compresi gli oggetti interni) e di depositare tale parte in un’altra persona esercitando un potente controllo. La parte di sè proiettata è avvertita come parzialmente perduta e insediata nell’altra persona. Insieme a questa fantasia proiettiva inconscia avviene una interazione personale mediante la quale chi riceve è spinto a pensare, sentire e comportarsi in modo coerente con i sentimenti espulsi e le rappresentazioni di sé e dell’oggetto contenute nella fantasia proiettiva.” (pp. 1-2) Riconoscendo chiaramente la bidirezionalità dell’identificazione proiettiva, Ogden ha sviluppato il concetto secondo il quale il paziente e l’analista creano insieme un terzo analitico intersoggettivo , che comprende le identificazioni proiettive sia elaborate che non elaborate. Jessica Benjamin (2004) ha ulteriormente sviluppato la propria versione del terzo analitico, unico per ogni diade analitica e in cui il tutto è più della somma delle parti. In Nord America, Grotstein è considerato colui che ha portato l’identificazione proiettiva comunicativa di Bion in ambito intersoggettivo. La sua formulazione è basata sulla metapsicologia della comunicazione inconscia di Freud, Klein e Bion, con implicazioni cliniche dirette. Considerando il concetto di identificazione proiettiva comunicativa di Bion come primario e comprensivo delle precedenti caratteristiche attribuitegli da Klein - inconscio, onnipotente, intrapsichico - Grotstein (2005) postula una “ transidentificazione proiettiva ”. Partendo dalla fantasia inconscia di una onnipotente identificazione proiettiva intrapsichica che opera unicamente nel mondo interno del soggetto che proietta, Grotstein aggiunge altri due processi: 1. Modalità consce e/o preconsce di induzione sensomotoria, che comprendono abitualmente movimenti (mentali, fisici, verbali, posturali o priming) di segnalazione e/o evocazione o sollecitazione da parte del soggetto che proietta; e, di conseguenza, 2. Simulazione empatica spontanea nell’oggetto ricettivo dell’esperienza del soggetto, per cui l’ oggetto ricettivo viene intrinsecamente condizionato/ predisposto (hard wired/ pre-wired) ad empatizzare con il soggetto che fornisce la sollecitazione. Da un punto di vista evolutivo il neonato o la parte infantile della personalità, sotto pressione per l’accumularsi del disagio emotivo, induce uno stato simmetrico nella madre - vulnerabile in quanto disponibile - per cui la madre inconsciamente esplora (auto-attiva) il
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