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proprio inventario di esperienze passate reali o possibili nel proprio sé conscio e inconscio, attinge selettivamente alle più pertinenti tra loro, e poi genera pensieri e/o azioni per affrontare il disagio del neonato. L’aspetto clinico più significativo della transidentificazione proiettiva intersoggettiva è una comunicazione (inconscia) tra due realtà psichiche . Durante il processo analitico, come nelle transazioni madre-neonato, la transidentificazione proiettiva opera in modo bi- direzionale , cioè l’oggetto diventa istantaneamente un mittente, e l’originario mittente della proiezione diventa quindi un destinatario, cioè avviene un dialogo . Grotstein sottolinea che il dialogo che così va a instaurarsi (compresi i pensieri e le azioni dell’analista) include in maniera significativa l’interpretazione della partecipazione dell’analizzando e dello scambio complessivo a più livelli. In tale contesto, Grotstein affronta anche la concettualizzazione intersoggettiva esperienziale di Ogden del ‘terzo soggiogante’ della psicoanalisi, e presenta la sua versione metapsicologica della presenza inconscia preternaturale dell’‘ ineffabile soggetto dell’inconscio ’ (Grotstein, 2000 p. 19), un “ dramaturge ” (il creatore, architetto e regista del dramma) o demone situato solo nell’inconscio dell’analizzando, che coopta le soggettività dell’analizzando e dell’analista per creare una drammaturgia in cui il tema inconscio pertinente può essere agito/ messo in scena ( enacted) e quindi conosciuto (Grotstein, 2000). Stephen Mitchell (1995,) considerando l’identificazione proiettiva dal punto di vista relazionale/interpersonale, osserva che questo processo fornisce “un ponte tra l’intrapsichico e l’interpersonale”. Egli sottolinea che tale approccio necessita di tenere conto di quanto avviene realmente tra il paziente e l’analista e quindi è pienamente costitutivo di una psicologia relazionale. Tansey and Burke (1989) descrivono come i processi dell’identificazione proiettiva possano svolgere un ruolo essenziale nello sviluppo dell’empatia. Mentre l’identificazione proiettiva era stata messa in relazione con l’identificazione concordante di Racker, e l’empatia con l’identificazione complementare (vedi sotto tra i contributi dell’America Latina), essi osservano che la ricezione di una identificazione proiettiva può essere un aspetto essenziale di un esito veramente empatico, quando è elaborata con successo dal ricevente. Notano, tra l’altro, che “ottenere un contatto empatico col paziente da parte dell’analista implica sempre un certo grado di identificazione proiettiva da parte del paziente”. (p. 63). Queste prospettive relazionali sull’identificazione proiettiva ne evidenziano gli aspetti comunicativi e dimostrano che, in psicoanalisi, gli “enactment” possono essere compresi soltanto esaminando le identificazioni proiettive che fanno la spola tra il paziente e l’analista. Slavin and Kriegman (1998) intendono gli enactment dal punto di vista del conflitto e della negoziazione interpersonali, che essi considerano fondamentali ed evolutivi. I due autori oncettualizzano lo spazio intersoggettivo come il luogo in cui lo scontro tra le identità del paziente e dell’analista può servire a creare le condizioni per un’autentica rinegoziazione delle rappresentazioni interne del paziente. Se l’identificazione proiettiva è vista come un aspetto normale ed inevitabile della comunicazione, che è necessariamente bidirezionale e coinvolge elementi sia consci che inconsci, il focus si sposta inevitabilmente dal paziente o dall’analista al campo che i due
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