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III. L’IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA NEL LAVORO ANALITICO
L’identificazione proiettiva è un concetto che descrive un modo spontaneo e preconscio di avvicinarsi a un’altra persona. Funziona sia nello psicoanalista che nell’analizzando, e non è uno strumento artificiale che l’analista può decider di usare o non usare. Quale che sia la sua impostazione teorica, tra lui/lei e il suo paziente ci sarà un flusso continuo di identificazioni proiettive nei due sensi. L’identificazione proiettiva è un concetto dinamico per descrivere il mezzo attraverso il quale si sviluppa una relazione umana, compreso il modo in cui funziona qualsiasi relazione analitica. Come tale, facilita la riflessione su concetti più classici e statici quali “transfert e controtransfert”, “nevrosi di transfert”, “nevrosi di controtransfert” e così via. Inoltre, sottolinea la capacità di autoanalisi dell’analista nei termini di spontanea e continua auto- osservazione dell’impatto del continuo flusso di identificazioni proiettive; quanto il carattere dell’analista e la sua nevrosi influenzano l’identificazione proiettiva; e quale è l’impatto sull’analista degli specifici movimenti di identificazione proiettiva del paziente. Può essere possibile distinguere i movimenti difensivi dell’analista contro il dolore psichico, e cercare dunque di scoprire con quale oggetto interno, o parte del Sé del paziente, l’analista si identifica proiettivamente in quel momento di sofferenza, rabbia, o compassione. Durante qualsiasi seduta psicoanalitica, il vantaggio di pensare al lavoro analitico in corso in termini di identificazione proiettiva sta nel migliore uso che l’analista può fare della propria esperienza di analisi e di autoanalisi per capire la natura, l’intensità e la patologia delle identificazioni proiettive del paziente in relazione ai vari oggetti interni – generalmente oggetti parziali – che lui/lei proietta sull’analista in un dato momento della seduta, e anche la causalità di tale movimento. Il lavoro di Bion con gruppi e pazienti psicotici lo ha portato a proporre importanti sviluppi nel concetto di identificazione proiettiva. In campo clinico, attraverso la concettualizzazione della coppia contenitore/contenuto, la violenza o l’eccesso di identificazioni proiettive diventa anche una funzione del contenitore ricettivo, cioè il funzionamento psichico inconscio dell’analista, compreso il suo carattere, la sua modalità di relazioni oggettuali e il quadro teorico. Quell’esperienza di Bion lo indusse anche a ripensare il concetto di “reazione terapeutica negativa”, e ad aggiungere alle componenti classiche di questa patologia – come invidia, masochismo, gelosia e senso di colpa inconscio – la patologia della relazione contenitore/contenuto (Bion, 1970). Osservando il bisogno dei pazienti di un particolare tipo di contenimento, riconosce in loro un difetto strutturale, principalmente legato alla scarsa capacità di costruire elementari difese attraverso meccanismi sani di scissione, negazione e idealizzazione, e la tendenza a regredire nella confusione. Dal 1990 in avanti, la ricerca psicoanalitica infantile ha elaborato nuove osservazioni e nuovi collegamenti con le neuroscienze per quanto riguarda l’identificazione proiettiva e la
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