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psicoanalisti interpersonali degli anni Cinquanta ed oltre - e altresì dai teorici relazionali che vennero dopo, via via che l’intersoggettività diveniva più centrale nella teoria. Per Freud, l’analista “deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso l’inconscio del malato che trasmette; deve disporsi rispetto all’analizzato come il ricevitore del telefono rispetto al microfono trasmittente. Come il ricevitore ritrasforma in onde sonore le oscillazioni elettriche della linea telefonica che erano state prodotte da onde sonore, così l’inconscio del medico è capace di ristabilire a partire dai derivati dell’inconscio che gli sono comunicati, questo stesso inconscio che ha determinato le associazioni del malato” (1912, pp. 536-53). Secondo questa metafora telefonica, l’inconscio dell’analista deve essere usato come uno strumento di ascolto altamente sensibile, guidato da principi chiave quali neutralità, anonimato, e schermo opaco o funzione di specchio. Questo significa che la funzione trasmittente dell’analista deve rimanere ben disciplinata, per tema che la sua ricezione da parte dell’apparato di ascolto del paziente metta a repentaglio il processo attraverso il quale il transfert possa svilupparsi senza ostacoli. Visto dalla prospettiva relazionale-intersoggettiva, è come se Freud, profeticamente, avesse previsto il pulsante “muto” nella sua metafora telefonica. Presentata in tal modo, fondamentalmente questa non è una teoria intersoggettiva. Mentre l’analista usa il suo inconscio come uno strumento di ascolto, non si ritiene che l’inconscio del paziente abbia la stessa capacità. Alla soggettività del paziente riguardo all’analista non viene dato ciò che le spetta. Freud si avvicina alla modalità reciproca di ascolto nel suo scritto del 1915 su “L’Inconscio”, in cui egli afferma: “È assai interessante che l’Inconscio di una persona possa reagire all’Inconscio di un’altra…” (Freud, 1915, p. 78). Tuttavia, questo punto rimase insufficientemente teorizzato nel corso di tutta la sua opera. Ferenczi riportò di avere incontrato esperienze personalmente trasformative con dei suoi pazienti, che lo avevano spinto ad ampliare l’ambito della comprensione psicoanalitica e lo avevano reso in grado di prendere sul serio per la prima volta le dimensioni bipersonali e reciproche, e perciò intersoggettive, dell’esperienza e della trasformazione psichica. Come Ferenczi scrisse, “Quando due persone si incontrano per la prima volta, si produce uno scambio di moti di affetti non soltanto consci ma anche inconsci” (1985, trad. it. p. 153). Egli coniò il termine “dialogo degli inconsci” per descrivere il fatto che un dialogo inconscio ha sempre luogo fra paziente e analista, ed avviene in due direzioni. Questa dimensione del lavoro di Ferenczi trovò un terreno particolarmente fertile negli Stati Uniti. Le idee relazionali e le loro applicazioni, per quanto riguarda la tecnica analitica, sono a favore di scelte in parte orientate da una teoria che mette l’accento sul processo intersoggettivo inteso come ‘dialogo tra inconsci’. Questo ha l’effetto di dirigere l’attenzione dell’analista verso gli effetti e i riflessi della sua stessa partecipazione, al pari di quella del paziente. Questo orientamento di ascolto tende ad essere paradigmatico per gli analisti relazionali, dando centralità all’intersoggettività e ai modi di utilizzarla nell’incontro analitico.
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