Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell'IPA

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Anche per Winnicott l’oggetto - che è un soggetto di per sé conflittuale - gioca un ruolo essenziale nella nascita di un apparato psichico funzionante, capace di distinguere tra fantasia e percezione. L’oggetto opera questa trasformazione e costruzione attraverso due principali tipi di interazione col neonato. Innanzitutto vi è il “trovato-creato” dell’offerta materna sincronizzata empaticamente, che si manifesta proprio quando il bebè ne ha bisogno. In secondo luogo, la ‘sopravvivenza dell’oggetto’ all’essere ‘usato’ come oggetto delle pulsioni aiuta il bebè a differenziare i suoi desideri dalla realtà esterna. Winnicott (1960 b, trad. it. p. 179) afferma che per il neonato gli impulsi e gli affetti istintivi sono estranei all’Io come un colpo di tuono. È attraverso una riuscita negoziazione fra le due categorie di interazione del ‘ creato-trovato ’ e dell’‘ uso dell’oggetto ’ (1953, 1969) che il bambino gradualmente soggettivizza la pulsione e la distingue dalle forze ambientali. Perciò si può affermare che il carattere particolare dell’“incontro” fra la spinta spontanea del bambino verso l’oggetto e la “risposta” del genitore plasmi letteralmente l’ esperienza intrapsichica del soggetto . Prima che la pulsione possa essere sentita come parte di sé, essa deve compiere un giro attraverso la risposta esterna dell’altro; in tal modo per Winnicott la pulsione è essenzialmente “costruita” nella relazione con l’altro , piuttosto che essere semplicemente “innata”. Nella prospettiva di André Green (1997), la pulsione è la matrice del soggetto e, come nella teoria freudiana, l’Io nasce dall’interazione/scontro fra le pulsioni e il mondo esterno. Green ha aggiunto al concetto winnicottiano di ‘presenza (materna) ottimale’ la propria concettualizzazione di ‘ assenza ottimale ’, la quale promuoverebbe i processi di simbolizzazione e rappresentazione. (Più oltre verrà specificata la concezione di Green riguardo alla dialettica fra intrapsichico e intersoggettivo). L’ambiziosa riformulazione attuata da Jean Laplanche (1987) dei ‘fondamenti della psicoanalisi’ offre un’altra prospettiva riguardo alla relazione fra oggetto e pulsione. Laplanche (1997a) critica il carattere ‘tolemaico’ della visione freudiana, che collocava la psiche individuale al centro del suo destino. Piuttosto, Laplanche afferma che la ‘situazione antropologica’ fondamentale della prima infanzia è completamente decentrata a causa della ‘priorità dell’altro’ , rendendo in tal modo ‘copernicano’ il bambino nella sua rivoluzione intorno all’adulto. La drastica asimmetria tra adulto e neonato evidenziata da Laplanche, che causa enormi conseguenze per la struttura psichica del neonato, è costituita dal fatto che l’adulto è un essere sessuale, parlante e con un inconscio, laddove il bebè non è né sessuale, né capace di parlare, e non è ancora internamente diviso. Ciò che è a malapena intuito dall’adulto è l’innesco della sua sessualità infantile inconscia nell’intimità primaria col corpo del neonato. Questa sessualità inconscia “contamina” gli scambi intimi col neonato nella forma di “messaggi enigmatici” che il bebè non è in grado di decodificare - in quanto gli mancano gli strumenti cognitivi, emotivi o corporei - e che creano una fantasia pulsionale e inconscia nella forma di una “pressione interna verso la traduzione”. Per Laplanche questa sessualità infantile, enigmatica per natura, non è innata bensì è un impianto da parte dell’altro reale, sebbene la realtà che conta – in una derivazione ed una rielaborazione altamente critica di Lacan – sia la realtà del “messaggio”, una terza realtà che Laplanche aggiunge alle realtà psichica e materiale cui si è riferito Freud. Perciò per Laplanche la sessualità umana – che egli intende come sessualità mediata dalla fantasia – proviene dall’altro ed è ‘ altra ’, alienata e straniera all’Io.

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