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Donald Winnicott Figura centrale della ‘Middle School’ britannica delle relazioni oggettuali, l’influenza storica e contemporanea di Winnicott nell’evoluzione del concetto di Sé si estende ben al di là della sua nativa Inghilterra. Benché abbia avuto molto più seguito in Europa, la sua influenza si individua in buona parte del pensiero contemporaneo nordamericano e latinoamericano. Winnicott (1965) colloca la relazione madre-bambino al centro dello sviluppo del sé. Nel suo modello, il bambino cerca istintivamente il riconoscimento e il supporto della madre. Egli considera il ‘sé’ nascente del bambino capace di ‘gesto spontaneo’ e di ‘idea personale’ (Winnicott, 1960, p. 148; trad. it. p. 187). Ma il ‘sé’ può svilupparsi soltanto nel contesto di una serie di interazioni con un caretaker capace di amore. Basandosi sulla sua esperienza di pediatria, Winnicott ha sottolineato l’influenza della ‘relazione reale’ fra madre e bambino. Nella sua prospettiva, l’onnipotenza del bambino è inizialmente sostenuta dall’ambiente materno capace di ‘holding’; tuttavia gli inevitabili fallimenti genitoriali, nel contesto di un ‘atteggiamento materno sufficientemente buono’ (Winnicott, 1953), permettono al bambino di sviluppare un sé resiliente e sano (“il vero sé”). Nel migliore degli scenari, il bambino è capace di usare l’oggetto (madre) ‘spietatamente’, ossia senza considerare la soggettività dell’oggetto (madre). Il sano sviluppo del sé dipende dalla capacità di ‘sopravvivere’ dell’oggetto-madre, cioè di andare incontro ai bisogni del bambino in un modo ‘sufficientemente buono’ pur conservando la propria soggettività. In questa maniera il bambino è capace di diventare consapevole di un ‘altro’ che sopravvive alla sua aggressività ed esiste al di fuori del suo controllo onnipotente – questo permette lo sviluppo di un sé capace di una vera relazione oggettuale e di empatia. Se la soggettività della madre interferisce con la sua capacità di gestire l’aggressività del suo bambino e anche di soddisfare i bisogni di quest’ultimo, il senso risultante di frustrazione e di frammentazione dà luogo a un ‘falso sé’ costruito difensivamente. In questo scenario, il bambino apprende prematuramente ad adattarsi ai bisogni di sua madre allo scopo di sopravvivere. Perciò, secondo Winnicott, in principio c’è l’unità madre-infante. “All’inizio l’individuo non costituisce l’unità” (1952, p. 221; trad. it. p. 267). Dalla prospettiva dell’infante non vi è inizialmente una differenziazione fra il sé e l’oggetto. L’infante è in uno stato di non integrazione - “Postuliamo una non-integrazione primaria” (1945, p. 149; trad. it. 180) - e completamente dipendente dalla sensibilità dell’holding materno, un holding che è sia fisico che psichico. Attraverso ciò che Winnicott chiama “la preoccupazione materna primaria” (1956) la “madre comunemente devota” è in uno stato di maggiore sensibilità verso il suo bambino, che la rende in grado di “adattarsi con delicatezza e sensibilità ai primi bisogni del bambino” (1956 p. 302; trad. it. p. 359). Questo holding materno crea per il bambino le condizioni per ciò che Winnicott descrive come ‘going-on-being’, [trad. it. ‘continuità dell’esistenza’] (1960a), cioè gli inizi di una continuità personale che fornisce le fondamenta per gli inizi di un senso di sé. Questo senso di sé è primariamente basato su esperienze e funzioni corporee. Se l’holding della madre è deficitario – a causa di assenze di holding troppo lunghe o di impingements [trad. it. ‘urti’] intrusivi – il senso di continuità dell’essere dell’infante si rompe ed egli è gettato in uno stato di angoscia impensabile (cadere per sempre,
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