Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell'IPA

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Si può osservare che nella teoria di Winnicott sugli inizi della vita mentale vi è una sorta di modello a doppio binario, poiché gli stati di non separatezza del bambino si alternano con stati di un incipiente senso di separatezza, una vaga realizzazione di qualcosa che è non me, specialmente quando i bisogni non sono soddisfatti e quando l’attività muscolare (che Winnicott associa con l’aggressività) trova una resistenza. “Considerando le cose da questo punto di vista”, egli scrive, “possiamo dire che il bimbo può affrontare il principio di realtà in luoghi e tempi diversi, ma non ovunque e tutto d’un tratto; e cioè che egli conserva zone di oggetti soggettivi insieme ad altre zone in cui è in una certa relazione con oggetti percepiti obiettivamente, ovvero con oggetti ‘non-me’ (‘non-Io’) (1962, p. 57; trad. it. p. 68). Perciò il bambino oscilla fra questi due stati ma, di nuovo, la cosa importante qui è che gli siano state date opportunità per l’illusione di creare l’oggetto, la quale è la base originaria per lo sviluppo di un senso del sé personale. Il falso sé ha la funzione di proteggere il vero sé dallo sfruttamento e di gestire la relazione con l’ambiente. Winnicott descrive vari gradi di organizzazioni del falso sé: “A un polo estremo: il falso Sé si costituisce come reale e chi osserva tende a prenderlo per la persona reale… Nelle situazioni reali… il falso Sé si dimostra essenzialmente manchevole… Il vero Sé è nascosto. Livello meno grave: il falso Sé difende il vero Sé… [che] è riconosciuto come potenziale e gli è permessa una vita segreta… Più verso la salute: il falso Sé ha come preoccupazione principale la ricerca di condizioni intese a permettere al vero Sé di venire alla luce. Se queste condizioni non possono essere trovate allora si rende necessaria la riorganizzazione di una nuova difesa contro lo sfruttamento del vero Sé… Nello stato di salute: il falso Sé è rappresentato da tutta l’organizzazione dell’atteggiamento sociale educato o, per così dire, dal ‘non avere il cuore in mano’” (1960b, pp. 142-143; trad. it. pp. 180-181). Winnicott (1949) sottolinea che un aspetto del falso sé e della sua prematura funzione di holding si evidenzia quando “la funzione intellettuale del bambino incomincia ad assumersi il compito e l’organizzazione dell’assistenza allo psiche-soma, mentre, in condizioni di salute, questa funzione spetta all’ambiente… La psiche è ‘sedotta’ dall’intelletto rompendo l’intimo rapporto che essa ha, all’origine, con il soma” (pp. 246-247; trad.it. p. 295). Vi è di conseguenza una dissociazione fra la capacità intellettuale e l’esistenza psicosomatica, per cui vi è “un tentativo da parte dell’individuo di risolvere il problema personale mediante l’intelletto. Si ha un quadro clinico che è tipico, in quanto inganna molto facilmente” (1960b, p. 144; trad. it. p. 182). Per l’individuo in questa situazione vi è una perdita di un profondo senso di sé, per il quale è essenziale uno stretto legame fra psiche e soma. Winnicott è intenzionalmente vago quando parla del vero sé. “Formularne il concetto, se non al fine di cercare di capire il falso Sé, è poco utile perché esso non fa altro che raccogliere insieme gli elementi dell’esperienza del vivere” (1960b, p. 148; trad. it. p.188). Il vero sé è un potenziale innato, unico per ciascun individuo, e fondamentalmente dipendente da un ambiente facilitante per poterne averne esperienza ed articolarlo. È la fonte della creatività e del sentirsi reale e vivo. “Nel primissimo stadio il vero Sé è la posizione da cui vengono il gesto spontaneo e l’idea personale… Il vero Sé deriva dalla vita dei tessuti corporei e dal lavoro delle funzioni corporee… E’ strettamente legato al concetto di processo primario” (ibid.). Esso quindi ha una

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