Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell'IPA

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Nel capitolo “L’oggetto trasformativo” - in “L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato” (1987) - Bollas esplora gli inizi dell’elaborazione infantile di questa estetica individuale, elaborazione che è fondamentalmente dipendente da un ambiente primario facilitante. Se la madre non risponde con sensibilità al gesto spontaneo del bambino, le sue espressioni idiomatiche iniziali risulteranno bloccate e sostituite da falsi adattamenti. Ma se è sintonizzata col sé emergente del bambino, la madre avrà la capacità di rispondere alla comunicazione del vero sé del bambino attraverso sottili interazioni consce e inconsce con lui. In “L’ombra dell’oggetto” Bollas rimane vicino alla formulazione di Winnicott, descrivendo il vero sé come “il nucleo storico delle tendenze istintuali e delle disposizioni dell’Io del bambino” (Bollas 1987, p. 51; trad. it. p. 38). Collegando il vero sé al concetto freudiano di rimozione primaria, descrive poi “il nucleo del sé” come “quella disposizione ereditaria che costituisce il nucleo della personalità, che è stato trasmesso geneticamente, e che esiste come potenziale nello spazio psichico” (p. 208; trad. it. p. 178), e pone il vero sé “alla base del concetto di conosciuto non pensato” (p. 278; trad. it. p. 238). In “Forze del destino” Bollas (1989) formula una differenza cruciale fra “fato” e “destino”. Collega il fato al concetto del falso sé, e il vivere reattivo e il destino al soddisfacimento del proprio potenziale interno. Nel capitolo “La pulsione del destino” (quarto paragrafo), egli articola la sua convinzione che il senso del destino sia il corso naturale del vero sé attraverso molti tipi di relazioni oggettuali, e che la pulsione del destino emerga, se lo fa, dall’esperienza che il bambino piccolo fa di una madre che facilita il movimento del vero sé. Mentre attraversiamo la vita, il nostro idioma continua ad articolarsi attraverso la nostra scelta e il nostro uso degli oggetti. In “Essere un carattere. Psicoanalisi ed esperienza del Sé” (1992) Bollas elabora l’idea dell’idioma come “intelligenza della forma”, e quella dell’uso idiomatico dell’oggetto, che aveva cominciato a delineare in “Forze del destino”. “L’idioma – scrive – che dà forma al carattere umano non è un contenuto latente del significato, ma un’estetica della personalità” (pp. 64-65; trad. it. p. 64). Il nostro idioma è “il nostro mistero” (1992, p. 51; trad. it. p. 51), che non può essere conosciuto o raggiunto attraverso l’introspezione. Noi non incontriamo mai il vero sé in quanto tale, non conosciamo mai cosa esso sia, né il nostro né quello altrui, ma possiamo intuitivamente cogliere i suoi derivati, così come, in modo analogo, possiamo entrare in contatto con l’inconscio soltanto attraverso i suoi derivati. Bollas concepisce l’idioma di una persona come articolato attraverso la sua scelta e il suo uso degli oggetti, sia in senso transizionale (dove la realtà interna ed esterna si incontrano e dove è sospesa la domanda su cosa provenga dall’interno e cosa dall’esterno), sia in senso “oggettivo”, dove la persona incontra la qualità dell’oggetto di essere essenzialmente sé stesso, fuori dalla sfera dei meccanismi proiettivi, ossia ciò che Bollas chiama l’ integrità dell’oggetto.

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