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dagli altri. Il suo concetto del Sé è essenzialmente multiplo in quanto vi è un Sé in qualche modo differente per ciascuna specifica relazione. Per Sullivan, la vergogna e non la colpa è al centro dell’esperienza umana, in quanto il pericolo proviene dall’incontro con l’altro. Sulla scia di Sullivan, gli interpersonalisti contemporanei e i teorici relazionali come Bromberg, Stern, Mitchell e Levenson considerano il Sé come emergente nel campo interpersonale. Poiché il Sé risponde all’insieme sempre mutevole delle esperienze relazionali, esso è necessariamente multiplo. Bromberg considera la mente un insieme di ‘stati del Sé’, e il ‘Sé unitario’ una illusione necessaria. A suo avviso, gli stati del Sé particolarmente minacciosi sono considerati esperienze “non-me”, che sono soggette alla dissociazione. La psicopatologia è determinata dal grado di dissociazione, riguardo alla quale gli esempi più estremi sono costituiti dalle esperienze psicotiche. Mitchell descrive gli stati del Sé multipli come simili alle relazioni interiorizzate sé - oggetto. Tuttavia Mitchell postula il senso di un ‘Sé privato’ distinto e valido, che serve a costituire un confine fra sé e gli altri. Levenson reputa il Sé e l’altro essenzialmente inestricabili. Secondo questo autore, il ‘Sé’ è un processo di sviluppo continuo degli adattamenti di una persona alle sfide presentate dal mondo interpersonale, e la psicopatologia è vista nei fallimenti nell'affrontare tali sfide. Nella pratica clinica, ogni narrativa riguardo al Sé o all’altro è probabile che sia una costruzione organizzata in modo difensivo, designata ad escludere altre prospettive più disturbanti. In Europa , l’esplorazione psicoanalitica del concetto del Sé trae origine principalmente nella psicoanalisi postfreudiana, in particolare nella concettualizzazione delle relazioni oggettuali, con sviluppi connessi anche alla psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti. Alcuni precursori di questo concetto possono essere individuati sia in Freud che in Melanie Klein, sebbene non attraverso la formulazione di una teoria esplicita. Winnicott è il primo autore che ha sviluppato una teoria del Sé completa e costantemente elaborata, soprattutto attraverso le sue concettualizzazioni del vero e del falso Sé. Elementi del suo pensiero hanno influenzato l’espansione delle teorie del Sé in diverse correnti della psicoanalisi europea. Gli autori inglesi hanno favorito l’esplorazione del Sé all’interno delle teorie delle relazioni oggettuali. Bollas ha sviluppato a suo modo le idee di Winnicott sul vero Sé. Questo autore ha gradualmente preferito il termine “idioma”, descrivendo quest’ultimo non come un contenuto latente di significato ma come un’estetica nella personalità. Per Fairbairn il Sé esiste fin dall’inizio ed è il risultato dell’esperienza, è un centro vivo e in crescita che egli considera il punto di origine del processo psichico umano. Nella psicoanalisi italiana, il concetto del Sé è stato sviluppato da autori che hanno teorizzato la sua genesi dalla mente primitiva nella relazione con la madre (Eugenio Gaddini), o dalla “matrice gruppale” (Giovanni Hautmann), o dalla dimensione transgenerazionale (Diego Napolitani), o come un dispositivo per analizzare le dinamiche della relazione analista-paziente (Stefano Bolognini). Nella tradizione francese Pontalis ha esplorato i limiti del concetto del Sé, riconoscendo la sua utilità nel comprenderne più profondamente le relazioni con le istanze dell’Io, dell’Es e del Super-io. Un ulteriore contributo alla elaborazione delle teorie del Sé proviene sia dalla psicoanalisi dei bambini - attraverso alcuni aspetti del pensiero di Frances Tustin, di Renata Gaddini, di Margaret Mahler e di Daniel Stern - che dalla psicoanalisi degli adolescenti attraverso l’influenza della teoria di Peter Blos sul pensiero di autori come Novelletto, Senise ed altri.
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