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particolare attualmente, il paziente potrebbe avere bisogno di supporto finanziario da parte di una qualche organizzazione, il che inevitabilmente implica la presenza di una parte terza, un elemento che deve essere considerato nel contratto iniziale. Questa parte terza varia a seconda degli stati: può essere il servizio sanitario nazionale, una assicurazione sanitaria, o la clinica psicoanalitica di un Istituto, nel caso di candidati.
III. SETTING INTERNO
Per quanto riguarda il setting interno dell’analista , le idee principali si trovano in Freud. Il setting interno consiste in uno stato mentale che implica il “non voler prender nota di nulla in particolare e nel porgere a tutto ciò che ci capita di ascoltare la medesima ‘attenzione fluttuante’ […]. La norma di prender nota di ogni cosa in modo uniforme, è il corrispettivo necessario di quanto si pretende dall’analizzato, e cioè che racconti senza sottoporre a critica e selezione tutto ciò che gli passa per il capo”. Inoltre: “Si tenga lontano dalla propria attenzione qualsiasi influsso della coscienza e ci si abbandoni completamente alla propria ‘memoria inconscia’, oppure, in termini puramente tecnici: ‘Si stia ad ascoltare e non ci si preoccupi di tenere a mente alcunché’” (Freud, 1912, 532-533). Queste idee sono tuttora valide, ma vi è stato un notevole approfondimento di esse, in particolare con le idee di Bion sulla rêverie . Bion definisce la rêverie come “lo stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli “oggetti” provenienti dall’oggetto amato, quello stato cioè capace di recepire le identificazioni proiettive del bambino, indipendentemente dal fatto se costui le avverta come buone o come cattive” (Bion, 1962, 69). Altre componenti importanti del setting interno sono la neutralità e l’astinenza. Laplanche e Pontalis definiscono la neutralità come un atteggiamento per cui: “L’analista deve essere neutrale quanto ai valori religiosi, morali e sociali […]; neutrale nei confronti delle manifestazioni del transfert […]; neutrale, infine, quanto al discorso dell’analizzato, cioè non deve privilegiare a priori, in base a pregiudizi teorici, un certo frammento o un certo tipo di significato” (Laplanche e Pontalis, 1973, 271; it. vol.2, 361). Anna Freud (1936) definì la neutralità come esigenza che l’analista rimanga equidistante dall’Io, dal Super-io e dall’Es del paziente. Laplanche e Pontalis definiscono l’astinenza come segue: “Essa implica per l’analista la regola di astenersi dal soddisfare le richieste del paziente e dallo svolgere effettivamente i ruoli che questi tende a imporgli” (1973, 2; it. vol.1, 50). Freud discusse dei pericoli dello zelo terapeutico nei suoi scritti sulla tecnica scritti tra il 1911 e il 1915 e, come è noto, descrisse l’analista che deve agire come il chirurgo. Quest’ultimo paragone ha dato luogo a fraintendimenti e critiche nella misura in cui è stato preso alla lettera (come nell’idea dell’analista silenzioso). Rycroft (1958) sottolineò il fatto che
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