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“l’abilità dell’analista nel fornire un setting dipende dalla sua capacità non solo di fare interpretazioni ‘corrette’, ma anche di mantenere una relazione e un interesse prolungato per i suoi pazienti”, ed è dentro questo setting che può svilupparsi il processo analitico. Aron (1996) sottolinea che l’interazione in analisi è asimmetrica. Una asimmetria è costituita dal fatto che, se entrambi i partecipanti dovessero fallire nel tentativo di mantenere il setting/cornice, è responsabilità dell’analista la ricostituzione del setting/cornice attraverso l’analisi. Questa sembra essere una questione sia etica che metapsicologica, riguardante i doveri e la funzione dell’analista. La neutralità e l’astinenza sono anch’esse le basi della dimensione etica dell’atteggiamento dell’analista verso i suoi pazienti e il suo lavoro. Senza una genuina interiorizzazione di queste capacità, i bisogni narcisistici dell’analista potrebbero condurlo allo sfruttamento delle vulnerabilità del paziente. Lo studio delle violazioni etiche (Gabbard e Celenza, 2003) ha portato l’attenzione sull’importanza e il significato dell’astinenza analitica e del costante bisogno dell’analista di monitorare il proprio controtransfert. Sebbene il setting interno venga di solito riferito all’analista, esso riguarda anche il paziente. La specificità della situazione analitica si basa sulla disponibilità del paziente a permettere la libera espressione degli affetti, dei conflitti e delle fantasie inconsci, e sulla responsività dell’analista nell’afferrarli. Affinché il paziente sia in grado di esprimere le sue fantasie inconsce, egli ha bisogno di un particolare stato mentale, non facile da realizzare, in modo da accettare l’impegno di tentare di attenersi alle libere associazioni. Secondo Freud, questa regola fondamentale consiste nell’impegno dei pazienti “di rinunciare ad ogni riflessione cosciente e di abbandonarsi con tranquilla concentrazione alle proprie idee spontanee, non volontarie […], anche se esse sono sgradevoli, troppo insensate, troppo irrilevanti e non pertinenti” (Freud, 1923, 591). Molti altri analisti hanno esplorato e sviluppato il loro pensiero riguardo all’“atteggiamento analitico”, seguendo i concetti di Winnicott di holding e di ambiente facilitante (Winnicott, 1965; Klauber, 1981; Bollas, 1987; Parsons, 2014), in cui l’analista offre se stesso come un oggetto che possa essere usato dal paziente. Questa prospettiva ha amplificato il campo della comprensione del processo analitico, includendo il transfert, il controtransfert e la risposta affettiva dell’analista (King, 1978). J. Sandler (1976) descrisse il concetto di responsività di ruolo dell’analista, che concerne la capacità dell’analista di identificarsi inconsciamente con un oggetto interno che appartiene al paziente e di prendere parte a un enactment nella seduta. L’analista diventa cosciente solo successivamente di ciò che ha avuto luogo ed è perciò in grado di formulare una interpretazione concernente il significato fantasmatico di ciò che è accaduto. Questo tipo di enactment può coinvolgere il corpo dell’analista, in termini di comportamento o di una particolare risposta corporea. Nella psicoanalisi italiana (per es. Bolognini, 2002; Bonaminio, 2003; Chianese, 1997; Civitarese, 2008; Ferro, 1996), seguendo il pensiero di Winnicott e di Bion, vi è stato uno sviluppo di pensiero concernente vari elementi dell’atteggiamento analitico dell’analista, espandendo la comprensione dei concetti di controtransfert e di costruzione, e focalizzando sulla “persona dell’analista”, incluso il corpo dell’analista. Bolognini (2002, 17) ha esplorato il tema dell’empatia psicoanalitica, che egli colloca in momenti di profondo contatto emotivo
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