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oggetti che fanno impazzire, nel quale il paziente sente che non potrà più tornare a essere ciò che era stato. I personaggi patogeni coi quali si identificava appaiono ormai indistinti e una serie di trasformazioni hanno avuto luogo nell’apparato psichico. Queste configurazioni più recenti, essendo nuove, ancora non formano un quadro coerente” (García Badaracco, 1980, pp. 271; citazione tradotta per questa edizione, N.d.T.). García Badaracco tuttavia tiene a sottolineare come la disidentificazione dalle presenze che fanno impazzire sia un lungo processo, graduale e minuzioso, in quanto il paziente potrebbe temere che la perdita di quelle identificazioni possa consegnarlo ad un senso di vuoto o di morte, che era proprio ciò che lo aveva portato inizialmente ad ammalarsi. VI. Ah. Willy Baranger: l’Oggetto “morto-vivo”. Willy Baranger (1961-1962) ha descritto una particolare struttura dell’oggetto che sembra essere presente, anche se non esclusivamente, in ogni processo di lutto e negli stati depressivi, nella quale l’oggetto è vissuto come morto-vivo. L’esperienza clinica e le produzioni di fantasia (come i miti, le leggende, i racconti, etc.) ne rivelano una grande varietà. Alcuni hanno un carattere persecutorio, altri appaiono danneggiati o depressi. In certi casi, la stessa genesi della depressione sembra avere al suo centro un oggetto morto-vivo che occupa un posto di primaria importanza nel mondo inconscio. Vi è come corollario un certo tipo di oggetto idealizzato il quale, come l’oggetto morto-vivo, è distinto dal Super-Io. Baranger ha descritto la rigidità della struttura di questo oggetto, e la sua difficoltà di assimilazione da parte dell’Io. Egli è riuscito a illustrarne la genesi prendendo in considerazione la precedente esistenza di una forte relazione simbiotica tra l’Io e l’oggetto. Baranger ha osservato come la sola comprensione del rapporto tra un Io impoverito delle sue funzioni e un super-Io ipertrofico e sadico non sia sufficiente a produrre un cambiamento nel paziente. Solo considerando la relazione del Sé con il suo oggetto morto-vivo e quello idealizzato -entrambi a sè stanti rispetto al Super-Io- si può favorire una trasformazione. Negli stati depressivi prolungati, il processo del lutto non riesce ad avviarsi e in forme più o meno nascoste il soggetto rimane legato ad un oggetto che non può né tornare in vita, né morire del tutto. La persona depressa è soggiogata da un oggetto morto-vivo che solo il lavoro analitico riesce a rendere manifesto con sempre maggiore evidenza, consentendoci di studiarne la struttura e le caratteristiche. Alcune tipologie di oggetti morti-vivi somigliano molto a elementi persecutori: a un estremo, ci si trova di fronte a una serie di strutture costituite da oggetti morenti che il Sé/l’Io devono preservare ad ogni costo; all’estremo opposto, si presentano oggetti che suscitano nell’Io/Sè un insieme di angosce paranoidi e depressive. Tra i diversi tipi di oggetto morto-vivo descritti da Baranger, il più importante è l’oggetto morente degli stati depressivi. Qui, il soggetto è ‘abitato’ da un oggetto interno ‘quasi morto’, che rende il soggetto schiavo e lo obbliga a una sterile attività di riparazione, sempre incompleta. Questa dinamica inconscia determina angosce depressive in relazione agli oggetti
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