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esterni, come il senso di colpa, l’inibizione e le altre difese che si possono ritrovare negli stati depressivi. Negli stati emotivi di dolore/lutto e depressione, Willy Baranger riconosce l’esistenza di due oggetti differenti, entrambi ambivalenti malgrado differiscano per struttura e funzioni. Ambedue si nutrono dell'Io/Sé, lo impoveriscono e lo spingono ad adottare un atteggiamento masochista. L’uno, l’oggetto morto-vivo, ha la funzione di contenere le fantasie sadiche e permette il controllo delle angosce depressive; l’altro, l’oggetto idealizzato, serve come rifugio per l’Io/Sè, che vi deposita dentro il proprio potenziale e le proprie capacità riparative per salvarle dal masochismo e dal pericolo di morte. L’Io/Sé, sentendosi impoverito e fragile, cerca la salvezza in un oggetto forte e intensamente vivo. È un fenomeno che si può osservare nelle manifestazioni transferali: l’analista diviene il rappresentante di questo oggetto idealizzato e l’Io/Sé del paziente partecipa della vitalità dell’analista in una forma simbiotica. L’aspetto simbiotico, che in precedenza non era stato adeguatamente considerato, ha condotto Baranger alla conclusione che una delle basi per lo sviluppo patologico del lutto risieda in una precedente relazione simbiotica dell’Io/Sé con l’oggetto perduto. Questo quadro va distinto dalla sua controparte schizo-paranoide, il cui funzionamento si basa sull’identificazione proiettiva, nel tentativo di controllare le angosce persecutorie ed eliminare l’ambivalenza. Al contrario, la simbiosi depressiva opera sulla scorta di identificazioni introiettive e proiettive, e tutte le componenti dell’Io/Sé e dell’oggetto, proiettate e introiettate, vengono sottoposte allo specifico processo di cleavage/ scissione depressiva. In altri termini, l’oggetto idealizzato contiene aspetti fragili o morenti dell’Io/Sé insieme al potenziale vitale. Tutto ciò può essere osservato nel transfert, ove il timore del paziente di perdere l’analista, o la paura di un suo danneggiamento, possono essere intensi e provocare ricadute nelle fasi vicine alla conclusione dell’analisi. VI. Ai. Carlos Mario Aslan: L’ombra dell’oggetto. Aslan (1978) ha osservato come Freud non abbia riformulato Lutto e Melanconia dopo aver introdotto la teoria strutturale e la pulsione di morte. Mise in relazione questo fatto con un evitamento del cordoglio/lutto nella letteratura psicoanalitica e nella cultura in generale, dove tutti i rituali funebri sono stati progressivamente abbandonati nel tentativo di negare la morte propria o dei propri cari. Il contributo di Aslan tende a rafforzare il senso del cordoglio o del lutto intesi come uno scontro o una lotta, processo persecutorio a cui generalmente ci si sottrae vivendo maggiormente l’esperienza del cordoglio o del lutto in termini di danno o sofferenza. Egli ritenne che una chiara differenza tra introiezione e identificazione, tra identificazione primaria e secondaria, tra identificazioni temporanee e strutturanti, insieme al ruolo centrale della teoria degli oggetti interni, offrissero strumenti per una migliore comprensione del cordoglio/lutto. Dichiarò inoltre che “l’identificazione patognomonica” con l’oggetto perduto descritta da Freud fosse un concetto non più sostenibile, ritenendo che già prima di essere perduto l’oggetto avesse un forte radicamento psichico all’interno del Sé/Io. È per tale ragione che preferì parlare
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