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di oggetto interno piuttosto che di rappresentazione. Sostenne che il termine “oggetto interno”, a differenza di “rappresentazione”, rifletta meglio la sua qualità di essere vivo, dinamico e in relazione con il Sé. Ritenne inoltre che il concetto di rappresentazione, per come lo adottiamo, abbia una qualità più fotografica, più statica rispetto all’oggetto interno, a differenza del termine Vorstellung che può indicare anche una riproduzione teatrale. Su questa linea di pensiero, Aslan ha sostenuto che ciò che può essere interiorizzato e poi perso -per come il Sé lo sperimenta- è la relazione con l’oggetto, intendendo quest’ultima come un precipitato di investimenti pulsionali nella relazionalità. In seguito, Aslan (2003) ha descritto una sincronia e una diacronia nel processo del cordoglio/lutto che accompagnerebbe la rappresentazione psichica dell’oggetto perduto, da lui definito oggetto interno e costituito da una complessa struttura egoica/superegoica di qualità ideali preconsce e inconsce. In seguito alla perdita, avviene un immediato ritiro libidico dall’oggetto interno, con una de-neutralizzazione della pulsione di morte che viene rilasciata in forma di distruttività verso il Sè e verso gli altri nella fase più persecutoria del cordoglio/lutto. Ciò condurrebbe a un rapido deterioramento di tale oggetto, potenzialmente dannoso per il Sé il quale viene transitoriamente identificato con la persona morta, attraverso un’operazione da Aslan definita ‘identificazione tanatica’. Avrebbe allora inizio un processo difensivo, il cui il meccanismo centrale risiede in un massiccio controinvestimento, in una ricarica libidica dell’oggetto interno, per neutralizzare la pulsione di morte. Dall’identificazione con la persona morta, si passa alla paura della morte e a un diventare ancora più morto del morto. Il lavoro del lutto prosegue con il passaggio da identificazioni più legate a Thanatos ad altre più connesse a Eros, con la diminuzione delle qualità persecutorie dell’oggetto morto-vivo descritto da Willy Baranger: dall’affliggersi per la propria situazione di lutto all’affliggersi per l’oggetto perduto e, in ultimo, con il passaggio a un Sé nutrito da identificazioni positive che diviene parte di questo processo. Parafrasando Lagache, Aslan (1978) lo ha descritto come “l’uccidere il morto senza morire a propria volta”, e citando Garma (1978) come “il dar vita al morto”. VI. Aj. Jorge Mario Mom: gli Oggetti nelle fobie. Per Taszma de Maladesky (2003), un collaboratore di Mom, l’interscambiabilità in termini di funzioni, la relatività e il controllo sull’oggetto fobico, come su quello protettivo, sono tra i più importanti contributi dell’opera di Jorge Mom. Per questi l’angoscia non è solo alla base del sintomo ma è essa stessa il sintomo primario. Mom (1961-1962) amplia la seconda teoria freudiana sull’angoscia, quella per cui l’angoscia precede la rimozione segnalando un pericolo all’Io. In Mom, l’angoscia diviene una funzione centrale nell’economia psichica: il soggetto, l’‘oggetto fobico’ e l’‘oggetto protettivo’ possono alternare le proprie funzioni a seconda del contesto. Mom parla di ‘situazione fobica’ e ‘situazione protettiva’ per render conto della plasticità e della mobilità del processo. Tuttavia, la mobilità produce anche situazioni confusive e pericolosamente indifferenziate, che il
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