Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell'IPA

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paziente fobico tenta di evitare attraverso un rigido controllo. Perciò, per Mom, la fobia è il risultato di un’interazione tra la situazione fobica e quella protettiva, cosicché, quando l’oggetto fobico viene a mancare, si perde anche la sua funzione di delimitazione dei confini. In seguito si viene a formare “l’oggetto fobogenico” (‘ phobogenic object ’), che ha una funzione di differenziazione e porta a discriminare tra l’oggetto fobico, l’oggetto protettivo e il soggetto. Per quanto spaventosa possa essere, questa differenziazione viene percepita come una soluzione rispetto alla terrificante e catastrofica indifferenziazione e mancanza di confini che caratterizza l’esperienza del soggetto fobico quando avverte il pericolo di impazzire. La fobia previene in qualche modo questa catastrofe: aiuta a risolvere l’assenza, si colloca al posto di ciò che è assente, e cela l’assenza con la sua presenza. L’oggetto fobico è dunque necessario per la creazione della situazione protettiva. L’angoscia protettiva (‘ accompanying anxiety ’) in questo modo fa da scudo al soggetto fobico rispetto a una forma d’angoscia ancor più grande, ossia ‘l’angoscia- segnale- di- non- avere- angoscia’) La persona fobica non evita l’oggetto della sua fobia, bensì lo cerca. Di contro, la “situazione fobica” è rappresentata dalla perdita della relazione desiderata. Per il soggetto fobico, l’angoscia è necessaria, strutturante, e viene rigidamente mantenuta. È l’essenza della vita del fobico, il suo vero “oggetto protettivo”. Il fatto che gli oggetti siano intercambiabili non significa che non siano differenti gli uni dagli altri. Ciò che è intercambiabile è la loro funzione. Il corso della fobia è una rassegna di limitazioni, mutilazioni, castrazioni. Il vero compagno del soggetto fobico è l’angoscia, e l’angoscia è l’oggetto. VI. Ak. Uruguay: Lo sviluppo femminile dalla prospettiva delle Relazioni Oggettuali. In Uruguay, un gruppo di autori strettamente legati all’opera dei Baranger, ha approfondito il tema dell’ipocondria e dello sviluppo femminile dalla prospettiva della Teoria delle Relazioni Oggettuali. Sulla base di osservazioni generali e di esperienze psicoanalitiche, Madeleine e Willy Baranger, Aida Fernández, Mercedes F. de Garbarino, Selika A. De Mendilaharsu e Marta Nieto (1964), come caratteristica specifica dello sviluppo femminile, rilevarono la presenza universale nelle donne di disturbi di tipo ipocondriaco, connessi in particolar modo alle loro funzioni sessuali. Al centro di tali disturbi vi sarebbe la fantasia nota sotto il termine di ‘cloaca’, che corrisponde a uno specifico tipo d’angoscia “confusionale”. La ‘cloaca’ è un coacervo di contenuti indifferenziati che appartengono a tutti i livelli dello sviluppo istintuale (sostanze corporee, parti di oggetti, ecc.). In alcuni casi, l’Io reagisce isolando la ‘cloaca’ all’interno dello schema corporeo e organizzandola in un nucleo separato, contenuto in un ‘involucro’. Questa configurazione viene espressa in fantasie che ruotano intorno idea di avere una ‘borsa’ una ‘cisti’. Una difesa frequente rispetto all’angoscia provocata dalla ‘cisti ipocondriaca’ consiste nell’idea di possedere un ‘pene fantasma’, in un’ulteriore alterazione dello schema corporeo, che ha lo scopo di negare l’angoscia ipocondriaca. La ‘cisti ipocondriaca’ sembra essere correlata al ‘masochismo femminile’, a un marcato erotismo della pelle, al narcisismo e all’esibizionismo femminile. Normalmente si risolve con l’esperienza della maternità, benché possa contribuire a rendere la maternità stessa

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