professionalità. Ed anzi inserirle in processi virtuosi di miglioramento continuo e di sviluppo delle competenze. Soprattutto oggi, nell’economia della conoscenza avanzata, la legge e la contrattazione dovrebbero occuparsi di come fare in modo che non venga bruciato il capitale umano della “generazione più istruita di sempre”, come ebbe a definirla Mario Draghi. Fare in modo cioè che i giovani italiani di oggi non siano condannati al penultimo posto per tasso di attività in Europa e ad un guadagno del 21% inferiore a quello della media degli altri occupati. Sono questi gli elementi qualificanti della proposta di legge di iniziativa popolare della Cisl per una governance partecipata alla vita delle imprese. Un testo che ambisce ad ammodernare e far evolvere le relazioni sociali e industriali del Paese, verso un paradigma di corresponsabilità che conviene a tutti: ai lavoratori, che possono negoziare salari più alti, maggiore flessibilità organizzativa, un peso maggiore nelle strategie delle loro aziende, redistribuire la ricchezza prodotta e frenare le delocalizzazioni. Ma anche alle aziende, che hanno l’opportunità di elevare produttività, innovazione di processo e prodotto, formazione e ricerca, radicamento e senso di appartenenza del lavoratore. La partecipazione e la democrazia economica sono acceleratori formidabili di una nuova sostenibilità sociale e ambientale che lo Stato deve incentivare, verso un “patto di dignità” che dia stabilità e qualità nei percorsi lavorativi, elevando le competenze attraverso percorsi di formazione continua. La sostenibilità è un orizzonte irrimediabilmente collettivo, perché dipende dagli equilibri tra produzione e consumo innescati dai comportamenti delle persone. Per questo non può realizzarsi senza un patto tra i gruppi sociali e tra le generazioni. Il mondo del lavoro non può sottrarsi a questa responsabilità.
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