a-temporale che nel pensiero comune continua a echeggiare: toghe, asce, mantelli, ornature di cavalli, drappi. Ad esempio Diocleziano usava il porpora e pare che avesse proibito l’uso di questo colore a tutti gli altri uomini. In questo modo, l’imperatore, ormai dominus , spiccava anche nell’immagine. La porpora poteva, invece, anche decorare i vestiti femminili negli orli o nelle balze. Sembra che i colori fossero anche sinonimo di differenza di genere, secondo una terminologia molto attuale: Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (XXI, 22) accenna alla discriminazione sessuale nell’uso dei colori. Essi derivavano dai fiori e alcuni erano chiamati colores principales e, cioè, communes maribus ac feminis : si trattava del rosso scarlatto (dal rosa al porpora), del viola e delle porpore più chiare (perché diluite). I colores , identificavano anche una delle tre parti della retorica, almeno secondo Seneca il Vecchio, per il quale le controversie erano riunite in sententiae, divisiones e colores : in sostanza, il sistema della
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materia, lo stile e il colore (le espressioni colorite) dell’oratoria. Quindi, i colores entravano nelle discussioni forensi poiché, come ben sosteneva Cicerone, un avvocato doveva essere anche un oratore: per una buona causa era necessaria cultura e ars retorica, cioè l’uso appropriato dei topoi retorici greci che la giurisprudenza romana usò a piene mani. Cicerone nel De Oratore (il trattato
sull’eloquenza, dedicato al fratello Quinto in cui possiamo assistere alla discussione tra Marco Antonio, avo del triumviro, Q. Mucio Scevola, Augure, C. Aurelio Cotta, Strabone Vopisco) faceva dire a P. Licinio Crasso Divite Muciano che il fratello P. Scevola non sarebbe stato un buon giurista se non fosse diventato oratore, perché a suo parere l’oratore doveva conoscere il diritto e il giurista
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