Mi riferisco qui al cinema visto da Gorky nel 1896 a Nizny Novgorod, quando la proiezione che gli scorre davanti agli occhi gli appare come un mondo infernale, fatto di grigie ombre senza pace e senza ordine. O ancora al cinema caotico ma tutto mentale, percepito su una poltrona del suo studio dal protagonista di Cinematografo cerebrale (1907) di De Amicis. Ma anche quello meraviglioso e angoscioso insieme de La notte mistica dell’amore e del dolore, scorci bizantini e morti cinematografiche (1913) di Dino Campana, dove vedere diventa meraviglioso, essere forzato a vedere. E mi riferisco anche al cinema che entra nel corpo e lo possiede dei soggetti psichiatrici curati dallo psichiatra e fisiologo Giuseppe D’Abundo (1908). A quello dei corpi assorbiti dal film e da questo poi costretti all’eternità del racconto il vampiro di Horacio Quiroga (1921). O a quello dei personaggi del film stanchi di ripetere la loro recita che a un certo punto si rifiutano di rispettare i confini spaziali e temporali dell’inquadratura, di Un’avventura cinematografica di Carlo Mariani dell’Anguillara (1926) L’immagine qui sfugge al quadro ed entra sulla carta. Diventa cioè segno d’inchiostro che mima ciò che altrimenti non si può rappresentare ma che la mente sa, per esperienza, essere stato vero. La penna diventa qui dunque, non solo il modo con cui scrivere di un’esperienza passata, ma anche lo specchio con cui affrontare la Medusa dell’immagine in movimento. Il tutto in un gioco al limite dei media, che per un attimo illude lo spettatore di poter essere là dove con le armi della logica non potrebbe essere.
Di superare insomma i confini del quadro, a volte facendosi parte di esso, a volte, come succede in un tragico finale a Bigia, la protagonista del racconto di Ada Negri Cinematografo (1928) portandolo con sé fino alla morte, travolta dalle immagini che sono dentro di lei e insieme dalle automobili che passano nella via. Perché, d’altronde come forse direbbe Bazin, il caos, al cinema come sulla carta, è pur sempre una metafora. E si rassegni il povero Perseo, ne rida la Medusa. Ma che sullo schermo di un cinema come su quello di un computer, il brivido del racconto filmico sia sempre quello misurato e illusorio, di farsi possedere dalle immagini, caos non tanto calmo che invade lo spettatore, è altrettanto vero. Se ne rassegni la Medusa.
Fonti
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