Newsletter di Ateneo n°6 #limite
UNINEWS TORVERGATA
Febbraio 2025 n°6
#limite
SOMMARIO
#limite
In apertura di Rosaria Alvaro
Questo limite non è un limite per l’ingegneria di Massimiliano Caramia Sistema economico, ambiente e... altri pianeti? di Alessio D’Amato
Sostenibilità alimentare, siamo al limite di Cesare Gargioli
Talk about sex: i limiti da superare di Andrea Sansone, Sara Cortese
Limiti di applicazione territoriale del diritto UE di Pierluigi Simone Nessun limite alla presenza (anche a distanza) di Federica Trovalusci, Angela Spinelli
Oltre il limite: periferie luoghi di possibilità di Giovanna Giulia Zavettieri
ToVità Green Societies World Campus LE RUBRICHE
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Direttrice responsabile Lucia Ceci
Progetto grafico Francesco Cirulli
UNINEWS TORVERGATA Contatti: uninews@uniroma2.it Web: https://n9.cl/uninewstv
Photo editor Riccardo Pierluigi
Web Scilla Gentili
Redazione Pierpaolo Basso, Thomas M. Brown, Maria Novella Campagnoli, Marilena Carbone, Francesco Cirulli, Tommaso Continisio, Maria Rosaria D’Ascenzo, Adriana Escobar Rios, Francesco Fabbro, Scilla Gentili, Emanuela Liburdi, Federica Lorini, Florinda Magliulo, Michela Rustici, Andrea Sansone, Sabina Simeone, Marco Tirone, Chiara Tranquilli
Chiuso in redazione: 14 Febbraio 2025
di Rosaria Alvaro* In apertura
“Limite” è una di quelle parole che, a prima vista, sembrano evocare solo ostacoli e restrizioni. Ma se ci soffermiamo un momento a riflettere, ci accorgiamo che ogni limite è anche una soglia, una linea che separa ma al contempo è una sfida a superarla. Nella storia, chi ha saputo crescere lo ha fatto proprio confrontandosi con i limiti, rivedendo confini e regole, trovando sempre nuove soluzioni. Ed è proprio quello che fanno da sempre le Università: affrontano, sfidando, i limiti e i vincoli imposti, trasformandoli in opportunità di innovazione e cambiamento. Fin dalle loro origini, nel Medioevo, le Università si sono trovate a operare in contesti complessi, vincolanti che presentavano molti limiti. All’epoca, infatti, la conoscenza era controllata dal potere religioso e le istituzioni accademiche dovevano muoversi entro dei limiti dati da rigidi schemi imposti da strutture politiche e culturali dominanti. Nonostante ciò, le Università hanno saputo superare tali limiti. Anche nei momenti più bui della storia dove il limite diventava oppressione, le Università non hanno mai smesso di essere luoghi di resistenza culturale, custodendo idee, creando reti di sapere, contribuendo in modo determinante ai processi di cambiamento sociale superando i limiti imposti.
Oggi le sfide sono cambiate. Le istituzioni accademiche non sono più soltanto luoghi di trasmissione del sapere, ma veri e propri laboratori di innovazione sociale ed economica, posizionate al centro di una rete di relazioni che coinvolge territori, comunità, imprese e istituzioni. Ogni limite che incontrano – che sia di natura territoriale, tecnologica o normativa – è un’occasione per ripensare il loro ruolo e per ridefinire il concetto stesso di sviluppo. Pensiamo al territorio: le Università si inseriscono nei contesti locali come catalizzatori di crescita. Attraverso progetti di ricerca applicata, iniziative di sviluppo sostenibile e percorsi di formazione dedicati alle esigenze del territorio, contribuiscono a valorizzare le risorse locali e a rafforzare il tessuto sociale. In questo modo, il limite territoriale non è più una barriera, ma diventa uno spazio di azione creativa, dove il sapere accademico si intreccia con i bisogni reali delle comunità. Un’altra sfida cruciale è quella legata alla tecnologia. Il ritmo del progresso digitale impone alle Università di innovare continuamente i loro metodi di insegnamento e di ricerca. Tuttavia, il vero compito delle istituzioni accademiche non è solo quello di adottare nuove tecnologie, ma di guidarne lo sviluppo in modo etico,
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*Prorettrice alle Politiche di innovazione sociale - rosaria.alvaro@uniroma2.it
consapevole e sostenibile superando i limiti dati dallo stesso utilizzo delle nuove tecnologie. devono confrontarsi anche con un’altra grande sfida: superare il limite della diversità. In un’epoca in cui le disuguaglianze si fanno sempre più evidenti, l’Università ha il dovere di essere inclusiva e creare spazi in cui la pluralità di culture, esperienze e punti di vista diventi una risorsa. Le Università del futuro Una particolare attenzione va poi rivolta ai limiti normativi. Le Università hanno il compito di dialogare con le istituzioni per proporre soluzioni legislative che favoriscano la ricerca, la didattica e il trasferimento tecnologico. Il limite, quindi, in questo senso, diventa uno stimolo per costruire un contesto più dinamico e favorevole al cambiamento. L’impegno a superare i limiti non significa ignorarli o eliminarli, ma trasformarli in punti di partenza per creare e definire qualcosa di nuovo. La capacità di accogliere i limiti e di reinterpretarli è ciò
che ha permesso alle Università di evolversi nei secoli e di continuare a svolgere un ruolo fondamentale nella società. È proprio in questa capacità di dialogare con i limiti, di superarli senza rinnegarli, che si gioca il futuro delle Università e, in fondo, il futuro della nostra società. L’evoluzione della civiltà umana, la curiosità per l’ignoto in un percorso di continua esplorazione, in cui i limiti naturali, sociali e culturali devono essere studiati e affrontati, rappresentano uno strumento fondamentale per trasformare il mondo e migliorare la condizione umana che vive sempre in tensione tra l’accettazione del proprio stato e la spinta verso l’ignoto.
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QUESTO LIMITE NON È UN LIMITE PER L’INGEGNERIA
Il limite è il pilastro di numerosi concetti della matematica che costituiscono il cuore del calcolo infinitesimale e come tale interessa l’ingegneria a livello interdisciplinare. I matematici greci Eudosso di Cnido (circa 400 a.C.) e Archimede (circa 250 a.C.) utilizzarono tecniche simili ai limiti, come il metodo di esaustione, per calcolare aree e volumi di figure geometriche complesse, approssimandole con successioni di figure più semplici, avvicinandosi sempre di più al valore desiderato. Isaac Newton e Gottfried Wilhelm Leibniz nel XVII secolo usarono il concetto di quantità infinitamente piccola per descrivere cambiamenti istantanei e aree sotto curve, ma il termine limite non era utilizzato esplicitamente. Jean le Rond D'Alembert nel XVIII secolo propose il concetto di limite come il valore a cui una variabile si avvicina indefinitamente mentre Augustin-Louis Cauchy agli inizi del XIX secolo diede la definizione, vicina al concetto moderno, di valore a cui una funzione si avvicina indefinitamente man mano che la variabile indipendente si avvicina a un determinato punto. Cauchy formalizzò anche la nozione di continuità e derivata basate sui limiti. Karl Weierstrass, cinquant’anni dopo, perfezionò ulteriormente il concetto di limite introducendo il criterio epsilon-delta, che è ancora oggi il fondamento rigoroso della teoria dei limiti.
di Massimiliano Caramia*
In ingegneria, come accade in altre aree del sapere, il termine limite può assumere diversi significati.
Il concetto di asintoto in analisi matematica ben rappresenta il concetto di limite di una funzione ovvero la tendenza che essa ha nel raggiungere un valore che assumerà mai.
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*Professore ordinario di Ricerca operativa - caramia@dii.uniroma2.it
Il limite in ingegneria meccanica o civile- edile può essere inteso come il confine entro cui un materiale o una struttura può operare. Nei materiali si definisce il limite elastico (massimo livello di tensione che un materiale può sopportare senza subire deformazioni permanenti), il limite di resistenza (la massima tensione che un materiale può sopportare prima della rottura), il limite di fatica (il livello di carico ciclico massimo che un materiale può sostenere indefinitamente senza rompersi). Nelle strutture si fa uso del concetto di stato limite ultimo (il punto critico in cui una struttura raggiunge la sua capacità massima, oltre la quale non può sopportare ulteriori carichi senza subire danni permanenti) o di stato limite di esercizio (la capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio di quella struttura).
Il limite in ingegneria informatica o elettronica può essere riferito: alla capacità di memoria (limite di dati immagazzinabili in un dispositivo), alla velocità di elaborazione (limite sul massimo numero di operazioni eseguibili in un secondo), alla latenza minima di una rete (tempo minimo che un pacchetto di dati impiega per percorrere il segmento sorgente- destinazione e ritorno), alla larghezza massima di banda (limite alla quantità di dati trasferibili in un dato periodo) e alla capacità di scalabilità (limite nel gestire un numero crescente di utenti, richieste o risorse). La storia dell’ingegneria è caratterizzata da una costante sfida a quelli che sono limiti materiali e tecnologici: ponti più lunghi, edifici più alti e veicoli più veloci sono esempi di come l’ingegno umano tenti continuamente di superare le barriere. Sotto questa visione, il limite rappresenta, appunto, una barriera tecnica o fisica che può essere spostata o superata grazie all’avanzamento della ricerca scientifica e tecnologica. Il limite è anche una sfida a livello etico . Nell’era delle tecnologie avanzate, l’ingegneria tocca temi come l’uso etico delle risorse e il rispetto per l’ambiente. Nel campo della biotecnologia, ci si interroga sui limiti della manipolazione del DNA, mentre nell’intelligenza artificiale emerge la questione di fin dove spingersi nella delega delle decisioni alle macchine. Il limite, quindi, non è solo fisico o matematico ma anche morale e si configura come una guida, un confine che orienta e stimola il progresso. Non circoscrive il potenziale umano, ma ne definisce l’orizzonte, tracciando un percorso verso un miglioramento continuo e un progresso consapevole.
La progettazione assistita da calcolatore (e.g., CAD e BIM) consente all’ingegnere di determinare in anticipo i limiti delle strutture in fase di progettazione, riducendo costi e garantendo sicurezza e conformità agli standard previsti dalle norme di legge.
Fonti
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SISTEMA ECONOMICO, AMBIENTE E... ALTRI PIANETI?
di Alessio D’Amato*
L’idea che sia possibile crescere all’infinito si scontra con un fondamentale limite , riconosciuto successivamente dallo stesso economista (tra gli altri) e legato al fatto che, in parole povere, tutte le nostre attività di produzione e di consumo richiedono direttamente o indirettamente l’utilizzo di risorse naturali, come fattore di produzione o come fonte diretta di consumo, e dell’ambiente, come destinazione finale dei rifiuti generati da tali attività. La riduzione dell’impatto di tali attività sull’ambiente e sugli ecosistemi è stato ed è tuttora l’oggetto degli sforzi di un gran numero di ricercatori nell’ambito di numerose discipline, in particolare di quella parte di economisti che ha come oggetto del proprio lavoro l’ambiente e la Robert Solow, economista tra i più noti ed influenti - si veda ad esempio il suo lavoro del 1956 - ha molto efficacemente sottolineato il ruolo del progresso tecnico nel guidare la crescita economica di un paese nel lungo periodo.
sostenibilità dello sviluppo economico, con conclusioni spesso contrastanti e con implicazioni, anche etiche, potenzialmente eterogenee. L’esistenza di confini “fisici” alle capacità del sistema economico di espandersi è ben rappresentata dai cosiddetti planetary boundaries che costituiscono una misura (legata a clima, acqua e oceani, utilizzo della terra ecc.) della resilienza del nostro pianeta alle attività umane e delle aree (molte) nelle quali, quanto chiediamo alla natura, eccede quanto essa sia in grado di fornirci, ivi inclusi riscaldamento globale, integrità della biosfera, deforestazione ed inquinamento.
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*Professore associato di Politica economica - damato@economia.uniroma2.it
Questa terza via è strettamente legata alla fiducia nel progresso tecnico , che caratterizza una parte della teoria economica mainstream, e che di fatto implica la possibilità di rendere inefficace qualsiasi limite alla possibilità di sfruttare il nostro pianeta. Mai come in questo periodo abbiamo sentito parlare di esplorazioni di altri pianeti e della effettiva possibilità di viaggiare verso di essi o addirittura di colonizzarli. Ferma restando la mia opinione che il progresso tecnologico sia stato e sia, quando e se debitamente indirizzato, positivo per il genere umano, mi permetto di sottolineare quella che è, sempre dal mio modesto punto di vista, l’estrema complessità delle domande che una narrazione “marziana” comporta.
L’esistenza di questi limiti è alla base di problemi di sostenibilità ambientale, di equità intergenerazionale e, almeno in parte, dell’intero insieme di obiettivi e target della Agenda 2030 delle Nazioni Unite. L’idea che l’ambiente naturale possa (e soprattutto debba) costituire un vincolo nei processi decisionali di natura economica è ormai difficilmente contestabile, sebbene si scontri nella pratica con significative difficoltà, ivi inclusa la riluttanza nel riconoscere che il rispetto di tali limiti sia una sorta di “prerequisito” per le scelte di natura micro e macroeconomica, e che questo abbia implicazioni sia nella formazione che nella ricerca di natura economica. Esiste però una terza via, che diventa sempre più presente nei dibattiti, legata alla possibilità di ridurre la rilevanza dei limiti appena esposti attraverso la ricerca di nuovi “mondi” dai quali trarre le risorse che il nostro pianeta non è più in grado di fornirci.
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Solo per fare qualche esempio, e senza pretese di profondità di pensiero di natura etica o filosofica come “svincolare” la sopravvivenza ad un eventuale collasso terrestre dalla ricchezza? Come scegliere chi avrà l’onore di esser pioniere sul nuovo pianeta e a quali privilegi lei o lui avrà diritto? Più in generale: come suddividere le risorse economiche esistenti (inevitabilmente limitate) tra la salvaguardia della terra e la ricerca tecnologica finalizzata a rendere un nuovo pianeta effettivamente vivibile?
Sinceramente, non ho risposte. Mi sembra però che il rallentamento su alcune politiche ambientali di cruciale importanza sia un indizio che la soluzione “salviamo la Terra” sia già superata. Personalmente spero non sia così.
Fonti
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SOSTENIBILITÀ ALIMENTARE, SIAMO AL LIMITE
Il limite della sostenibilità alimentare si manifesta in vari modi. Ad esempio, l’espansione dell’agricoltura su terre precedentemente selvagge può portare alla perdita di biodiversità e a un aumento delle emissioni di gas serra. L’intensificazione della produzione alimentare, pur aumentando l’efficienza nel breve periodo, può ridurre la qualità del suolo e dei corpi idrici, danneggiando irreversibilmente gli ecosistemi. Inoltre, la sovrappopolazione e il consumo eccessivo di risorse naturali stanno già superando i limiti di capacità del pianeta, mettendo in pericolo la sicurezza alimentare futura. Il termine “limite” implica non solo un concetto di massimo fisico, ma anche un concetto etico e sociale. Esiste infatti un limite alla giustizia sociale e alla distribuzione del cibo: troppe persone nel mondo non hanno accesso a risorse alimentari sufficienti, e ciò pone interrogativi sulla distribuzione equa e sulla riduzione degli sprechi alimentari.
di Cesare Gargioli*
Ogni sistema ecologico ha un limite, un punto oltre il quale le risorse non possono più sostenere la popolazione senza subire danni irreparabili. Nel contesto alimentare, questi limiti sono strettamente legati alla capacità del pianeta di fornire risorse agricole, acqua e biodiversità, mantenendo al contempo l’equilibrio ambientale. Il concetto di “limite” nella sostenibilità alimentare è cruciale per comprendere i confini entro i quali possiamo produrre e consumare cibo senza compromettere la capacità delle risorse naturali di auto rinnovarsi.
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*Professore associato di Biologia cellulare e applicata - cesare.gargioli@uniroma2.it
tutto innovativo che viene realizzato in laboratori che sfruttano le conoscenze dell’ingegneria tissutale. Viene infatti prodotta a partire da cellule animali e si propone come una soluzione innovativa e potenzialmente rivoluzionaria in quanto questa tecnologia consente di ottenere carne reale senza la necessità di allevare e macellare animali, offrendo diversi vantaggi dal punto di vista ambientale, etico e sanitario. Questo tipo di carne potrebbe giocare un ruolo cruciale nel superare molti dei limiti legati alla produzione alimentare tradizionale. La carne coltivata offre numerosi vantaggi ecologici. Prima di tutto, riduce drasticamente l’uso di risorse naturali come terra e acqua, che sono necessari in grandi quantità per l’allevamento degli animali. Inoltre, la produzione di carne coltivata emette significativamente meno gas
La sostenibilità alimentare rappresenta una delle sfide più pressanti del nostro tempo. Con la popolazione mondiale in continua crescita e le risorse naturali sempre più sotto pressione, il nostro attuale sistema alimentare mostra segni evidenti di insostenibilità. Riconoscere questi limiti è il primo passo verso politiche più consapevoli e responsabili, che puntano alla sostenibilità a lungo termine e alla protezione delle generazioni future.
Un’innovativa soluzione al problema del limite della sostenibilità alimentare è rappresentata dalla carne coltivata, un prodotto del così la capacità della Terra di continuare a nutrire la popolazione mondiale. In definitiva, il limite della sostenibilità alimentare è un confine da rispettare e capire, affinché l’equilibrio tra la domanda alimentare e l’offerta naturale non venga oltrepassato, preservando
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serra rispetto alla carne tradizionale, contribuendo così alla lotta contro il cambiamento climatico. La capacità di produrre carne in laboratorio senza le inefficienze del ciclo alimentare animale (come l’alimentazione e la gestione degli animali) può anche ridurre la pressione sugli ecosistemi, evitando deforestazioni e perdita di biodiversità. Dal punto di vista del limite sociale ed etico, la carne coltivata
offre anche una risposta alla crescente preoccupazione riguardo al benessere animale. Con questa tecnologia, si elimina la necessità di allevamenti intensivi e macellazioni, riducendo la sofferenza degli animali e affrontando uno dei temi più delicati legati all’industria alimentare. Inoltre, la carne coltivata potrebbe essere prodotta in modo più equo, adattandosi alle necessità alimentari di una popolazione
globale in espansione, senza le disuguaglianze legate alla distribuzione delle risorse necessarie per l’allevamento tradizionale.
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I LIMITI DA SUPERARE TALK ABOUT SEX:
HUMANS NEED FANTASY TO BE HUMAN. TO BE THE PLACE WHERE THE FALLING ANGEL MEETS THE RISING APE. Terry Pratchett, Hogfather (1996). Molte delle persone che accedono a SeCS Cathedra, il servizio di consulenza sessuologica gratuito fornito al personale e agli studenti di Tor Vergata dalla Cattedra di Endocrinologia e Sessuologia Medica diretta dal Prof. Emmanuele A. Jannini, riferiscono difficoltà a parlare coi loro partner prima, durante e dopo il rapporto, spesso per il timore di essere fraintesi, di confondere fantasie sessuali per parafilie, di far sentire inadatti i partner, o viceversa, di non essere in grado di soddisfare le esigenze altrui. Questa fobia genera un circolo vizioso che porta a evitare ogni conversazione sulla sessualità, rinunciando a esprimere desideri o preoccupazioni.
di Andrea Sansone, Sara Cortese*
La comunicazione sessuale è fondamentale nelle relazioni umane, ma è spesso trascurata per imbarazzo, per tabù culturali o per semplice mancanza di abitudine. Parlare apertamente delle proprie fantasie e dei propri desideri, limiti e bisogni sessuali è la chiave per costruire connessioni più intime, ma molti trovano difficile affrontare questi argomenti. È la sex negativity che riguarda molte culture, ma anche moltissime esperienze individuali: l’idea che la sessualità sia un qualcosa di scomodo e che esplorare le proprie fantasie sia perverso è molto diffusa, ed è uno dei motivi per cui l’educazione sessuo-affettiva è spesso al centro dei dibattiti sociali e politici.
*Ricercatore di tipo B in Endocrinologia - andrea.sansone@uniroma2.eu Tesista in Psiconeuroendocrinologia e sessuologia medica - sara.cortese@students.uniroma2.eu
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Parlare di sesso in un momento neutro e tranquillo può ridurre la pressione psicologica e favorire una conversazione più serena. È opportuno, ma non sempre scontato, ascoltare attivamente il partner e stabilire le norme per una comunicazione reciproca, con un linguaggio rispettoso ed empatico. E chiaramente, l’educazione sessuo-affettiva è fondamentale: non solo per vincere i propri pregiudizi e timori, ma anche e soprattutto per riconoscere cosa è sano, anche nelle dinamiche relazionali. La sessualità è parte naturale della nostra vita e del nostro sviluppo, così come la salute sessuale è parte imprescindibile dello stato di salute generale, anche secondo le definizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Stereotipi e pregiudizi sono importanti fattori di rischio per la qualità di vita sessuale e generale: proprio per questo è opportuno che la società promuova il dialogo sulla sessualità in contesti educativi, familiari e sociali. Un approccio più improntato alla sex positivity non solo migliora le relazioni individuali, ma aiuta anche a costruire una vera e propria cultura del rispetto e del consenso – la cui mancanza sin troppo spesso viene citata nei casi di cronaca.
Evitare di parlare di sessualità può creare malintesi e tensioni nelle relazioni: quando i bisogni di una persona sono inespressi, il partner potrebbe interpretare in modo errato segnali o comportamenti, generando frustrazione e/o insoddisfazione reciproca. Il silenzio, inoltre, può far nascere dinamiche nocive, come rapporti non consensuali o, per così dire, spenti, e può favorire l’insorgenza di disfunzioni sessuali, come il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo, la disfunzione erettile o l’anorgasmia femminile. Comunicare in modo aperto e rispettoso aiuta a creare uno spazio sicuro all’interno della relazione, in cui potersi esprimere senza paura di rifiuti o giudizi in un clima di accoglienza e di fiducia. Inoltre, il sesso è legato all’identità personale e alla vulnerabilità emotiva: discuterne significa aprirsi, rivelare insicurezze o esperienze passate, e per molti può essere scomodo o persino spaventoso in una società che mira alla ricerca della perfezione.
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Superare i limiti della comunicazione sessuale richiede tempo, coraggio e pazienza, ma i benefici che possiamo trarne sono innegabili. Parlare di sesso non significa solo migliorare la vita sessuale, ma anche rafforzare la connessione emotiva, ridurre i conflitti e promuovere la salute generale.
La sessualità è un aspetto fondamentale della nostra vita e tutti meritano di sentirsi compresi e ascoltati. Iniziamo a parlare, poiché il silenzio è il vero limite da abbattere.
Fonti
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LIMITI DI APPLICAZIONE TERRITORIALE DEL DIRITTO UE
Alla definizione dei limiti di applicazione territoriale del diritto dell’Unione europea è dedicato l’art. 355 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
di Pierluigi Simone*
Esso si applica, in primo luogo, alle c.d. regioni ultraperiferiche (Rup), vale a dire a territori che sono parte integrante di alcuni Stati membri ma che si distinguono per specifiche condizioni geografiche, economiche e sociali determinate in particolare dalla grande distanza dall’Europa continentale, dalla insularità, dalla superficie ridotta, dalla topografia e dal clima difficili, nonché dalla stretta dipendenza economica da un numero limitato di prodotti. Tali regioni vengono nominativamente indicate dal par. 1: si tratta di alcuni territori francesi (Guadalupa, Guyana, Martinica, Riunione, Saint Martin, Mayotte),
portoghesi
(Azzorre,
Trattati a tutti i territori che ricadono nella sovranità di uno Stato membro. Le Rup sono pertanto vincolate, in via di principio e salvo adattamenti, all’intero acquis dell’Unione.
Madeira) spagnoli (Canarie). La norma citata è coerente con il principio generale di cui all’art. 52 del Trattato dell’Unione europea (Tue), il quale impone l’applicazione dei e
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*Ricercatore in Diritto dell’Unione europea - pierluigi.simone@uniroma2.it
La seconda categoria è quella dei Paesi e Territori d’Oltremare (Ptom), ossia di paesi e territori non europei che mantengono relazioni particolari con la Danimarca, la Francia e i Paesi Bassi. Non essendo autonomi soggetti di diritto internazionale, dipendendo bensì da uno dei tre Stati sopra menzionati, godono per tale ragione di uno speciale regime di associazione con l’Unione europea. Sono elencati nell’Allegato II al TUE e al TFUE, e comprendono: Groenlandia, Nuova Caledonia, Polinesia francese, Terre australi e antartiche francesi, Wallis e Futuna, Saint Pierre e Miquelon, Saint Barthélemy, Aruba, Antille olandesi. Il regime di associazione per essi è disciplinato dagli artt. 198-204 TFUE, mentre le disposizioni di dettaglio sono fissate dal Consiglio dell’Unione attraverso specifiche decisioni denominate “decisioni sull’associazione d’oltremare” (attualmente è in vigore la decisione Ue 2021/1764). Questo tipo di atti definisce il quadro giuridico dell’associazione Ue-Ptom, i possibili settori di cooperazione, il regime commerciale e la collaborazione in questo campo, la disciplina doganale, le questioni relative alla salute pubblica, alla pubblica sicurezza e all’ordine pubblico, i diversi strumenti finanziari di cui i Ptom possono beneficiare. A differenza delle regioni ultraperiferiche, i Ptom sono soggetti soltanto alla parte quarta del TFUE. In assenza di un riferimento espresso, le norme generali dei Trattati non sono dunque loro applicabili. L’art. 355, par. 3, TFUE stabilisce poi che le disposizioni dei Trattati si applicano ai territori europei di cui uno Stato membro assume la rappresentanza nei rapporti con l’estero. In forza di tale disposizione, prima della c.d. Brexit, i Trattati si applicavano a
Gibilterra, in quanto, pur non facendo parte del Regno Unito, tale territorio costituisce una colonia della Corona di cui detto Stato assume la rappresentanza nelle relazioni internazionali. La norma non si applica invece tuttora alla Repubblica di San Marino, allo Stato della Città del Vaticano, al Principato di Monaco e al Principato di Andorra. Questi sono infatti Stati terzi che mantengono una loro distinta soggettività internazionale e non dipendono, nei loro rapporti con l’estero, da Stati membri dell’Unione europea.
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I paragrafi 4 e 5 della norma in esame contengono infine altre disposizioni che precisano ulteriormente il campo di applicazione territoriale dei Trattati, prendendo in considerazione situazioni assai specifiche di taluni territori. Attualmente, devono ritenersi in vigore solamente le previsioni del par. 4 sulle isole Åland e del par. 5 sulle isole Fær Øer; a seguito della Brexit, non sono più in vigore nella versione originaria le parti del par. 5 sulle zone di sovranità del Regno Unito di Akrotiri e Dhekelia a Cipro, sulle isole Normanne e sull’isola di Man.
Per le isole Åland valgono alcuni limiti al diritto di stabilimento e di prestazione di servizi delle persone fisiche e giuridiche, nonché in tema di IVA, accise e altre forme di fiscalità diretta. Per le isole Fær Øer valgono le norme contenute nei due Accordi UE-Danimarca sulla pesca e sul libero scambio, conclusi rispettivamente nel 1977 e nel 1996.
Fonti
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NESSUN LIMITE ALLA PRESENZA (ANCHE A DISTANZA)
di Federica Trovalusci, Angela Spinelli*
Nel panorama attuale, la capillare e pervasiva diffusione delle tecnologie digitali ha prodotto cambiamenti così profondi che è stato sorprendente, in fase pandemica, tornare ad utilizzare locuzioni come “didattica a distanza” per identificare processi, prodotti, attività che quasi nulla avevano a che fare con i primi assetti didattici, legati agli albori analogici delle scuole per corrispondenza. I media digitali, infatti, introducono cambiamenti radicali che investono la dimensione sociale, economica, produttiva e culturale, nonché i processi di apprendimento.
A cosa ci riferiamo quando diciamo “presenza” in un contesto di apprendimento? In una relazione formativa quante volte ci è capitato di percepire assente un docente fisicamente presente?
interazioni significative per l’apprendimento e per la crescita individuale e sociale; nella sua capacità di curare le relazioni con e tra studenti e studentesse. Assunto il ruolo centrale dell’insegnante come primo mediatore, oggi siamo però di fronte all’emergere di un universo mediale profondamente rinnovato e che influisce sui processi di apprendimento.
Ecco, gli elementi che caratterizzano la presenza didattica sono più fenomenologici che fisici: un docente può “essere” nella relazione educativa anche quando il suo impegno didattico si svolge a distanza, online, nel contesto mediale digitale. Il cuore della sua presenza formativa è la capacità di sollecitare e sostenere
*Professoressa associata di Tecnologie e sistemi di lavorazione - federica.trovalusci@uniroma2.it Ricercatrice in Didattica generale - angela.spinelli@uniroma2.it
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L’aggettivazione “a distanza” si svuota di significato di fronte a processi di apprendimento, prevalentemente informali e non formali, che si svolgono in modo ubiquo e distribuito, all’interno di sistemi e network digitali che non rispondono più alle caratteristiche dei prodotti tipografici, come ad esempio la linearità, la separazione fra produttori e fruitori, il riconoscimento dell’autorevolezza della fonte. La distanza, nel tempo e nello spazio, può non essere per nulla equivalente alla distanza relazionale. Per rendere conto di questa ambiguità semantica che si gioca sui termini presenza/distanza, noi preferiamo parlare di distanza transazionale : cioè di quella quantità di dialogo che si verifica tra docenti e studenti/studentesse all’interno di un assetto sociale di orientamento collaborativo e che è determinata da una buona progettazione e da un’attenta conduzione del lavoro didattico.
La Scuola IaD del nostro ateneo propone un punto di vista che, a partire anche dalla letteratura scientifica sull’e-learning, offre una panoramica sulle soluzioni di processo e di prodotto per garantire qualità dell’offerta e dell’interazione, con un’attenzione specifica al sostegno dell’apprendimento e alla cornice istituzionale in cui è inserito. Dunque, pensare la “scuola a distanza” ha il pregio di riportare la didattica all’interno dell’alveo pedagogico e organizzativo di un contesto istituzionale che si occupa dell’individualizzazione dei percorsi di apprendimento, facilitando quelle prassi che aiutano a non riprodurre le disuguaglianze sociali e culturali di cui gli allievi sono portatori in ingresso. Tuttavia, è necessario farlo nella consapevolezza che i processi di insegnamento e di apprendimento oggi si muovono in un orizzonte mediale totalmente rinnovato.
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Il termine “scuola” assume così la duplice valenza di orizzonte di senso, legato ad una specifica visione della società, dell’essere umano della cultura e di organizzazione definita dalle sue prassi professionali e metodologiche. Volendo chiudere il cerchio del ragionamento avviato, dunque, si fa riferimento alla questione di fondo per cui
«ancora una volta la domanda è quale ideale di essere umano e di società si possiede e si difende», che spinge la pratica didattica al confronto con l’orizzonte mediale digitale all’interno di un percorso pedagogicamente orientato.
Fonti
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OLTRE IL LIMITE: PERIFERIE LUOGHI DI POSSIBILITÀ
di Giovanna Giulia Zavettieri*
In un discorso geografico più ampio, il termine “limite” è evocativo di confini, barriere e linee di separazione. In geografia, il concetto di “limite” può essere declinato in relazione a specifiche dimensioni fisico-spaziali, come il limite altimetrico o topografico. In questa prospettiva, il termine assume una valenza eminentemente tecnica, designando il livello critico che segna la soglia oltre la quale un determinato fenomeno si manifesta o cessa di esistere. La geografia politica ha lungamente riflettuto sulla distinzione concettuale tra “limite” e “confine”. Cum-finis si configura come una linea con-divisa che separa e al contempo unisce due territori, tracciando il termine reciproco di spazi contigui. Il limes acquisisce invece una connotazione unilaterale, indicativa di una soglia imposta
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*Borsista di ricerca in Geografia - giovanna.zavettieri@uniroma2.it
che demarca una separazione simbolica e funzionale, come esemplificato dall’antica separazione tra l’Impero romano, rappresentazione della civitas, e le terre germaniche, percepite come barbaria. Nel lessico cartografico, il termine “limite” mantiene una pregnante valenza tecnica. In tale contesto, si fa riferimento ai limiti amministrativi per designare i confini che delimitano le unità amministrative ai fini statistici, articolati secondo una gerarchia tripartita, comprendente regioni, province e comuni. Ma ciò che la cartografia “ufficiale” rappresenta, coincide con le percezioni delle comunità locali? Questo interrogativo si intreccia con il concetto di senso del luogo, evidenziando le discrepanze tra astrazioni amministrative ed esperienze vissute. Emergono così questioni di complessa articolazione, come la difficoltà nel definire i limiti spaziali di entità locali quali quartieri, zone urbanistiche o municipi, laddove le categorizzazioni istituzionali si discostano dalle appartenenze territoriali percepite.
A titolo esemplificativo, volgiamo lo sguardo verso una porzione di territorio situata in prossimità dell’Università di Roma Tor Vergata. Quali sono i limiti che definiscono Tor Bella Monaca? Qual è il numero preciso dei suoi abitanti? E in che modo possiamo circoscrivere l’estensione di questa realtà territoriale, sospesa tra la classificazione di quartiere, zona o area urbana? Il paesaggio urbano periferico si manifesta come la rappresentazione dinamica di un territorio, in cui la geografia, con un approccio interpretativo trasversale, è chiamata a cogliere il significato profondo di questi luoghi, interpretandone la complessità. Questo processo comporta una riorganizzazione delle tracce che definiscono i paesaggi umani, caratterizzati da processi di antropizzazione, rappresentazioni storiche radicate nelle geografie locali, dinamiche di riscatto sociale e interazione tra politiche territoriali e dimensione culturale. Le periferie urbane non si situano sempre ai margini né possono essere ridotte a una semplice dimensione esterna.
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Esse operano come corridoi di espansione territoriale, trasformando le periferie urbane in spazi interstiziali, capaci di intrecciarsi con le dinamiche del tessuto centrale. Una lettura più critica suggerisce che il limite non vada inteso unicamente come linea di divisione, bensì come spazio di potenziale trasformazione e ri- significazione. Le periferie urbane, tradizionalmente percepite come territori marginali, incarnano con forza questa duplicità: da un lato, rappresentano emblemi di esclusione e disuguaglianza socio-territoriale; dall’altro, si configurano come luoghi di resistenza culturale e laboratori di sperimentazione per una pianificazione territoriale più inclusiva e partecipativa. Le periferie urbane incarnano un genius loci che riflette una stratificazione antropica e racconta una storia collettiva intrecciata alle geografie fisiche e culturali della città. Il limite, in quanto costruzione geografica, rappresenta un luogo di negoziazione continua , in cui le tracce di una storia millenaria si intrecciano con le istanze contemporanee. Le periferie urbane, quindi, non si limitano a essere territori marginali, ma possono emergere come spazi di tensione e potenziale trasformazione, dove il limite stesso si riconfigura come soglia di possibilità.
Fonti
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Alloggi universitari: Insieme Siamo Migliori!
di Federica Lorini, Emanuela Liburdi*
Nella nostra città trovare case decorose ma economicamente sostenibili è diventato un compito sempre più complesso a causa dell’incremento del costo degli affitti, della scarsità di offerte accessibili e della significativa riduzione di posti letto nelle zone maggiormente servite in termini di trasporti. Negli ultimi anni la crisi abitativa e locativa è ulteriormente peggiorata rendendo difficile per molte persone, soprattutto studenti e studentesse, trovare soluzioni abitative adeguate. Un fenomeno che non interessa solo gli studenti ma anche tutte le altre categorie legate al mondo universitario.
Da qui la nascita e la messa in opera del progetto Insieme Siamo Migliori / Together We Are Better.
*Ufficio Comunicazione di Ateneo - federica.lorini@uniroma2.it , emanuela.liburdi@uniroma2.it
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L’iniziativa solidale intergenerazionale ha come obiettivo quello di unire le esigenze degli studenti fuori sede in cerca di un alloggio a costi sostenibili e quelle delle famiglie, delle coppie e degli anziani che vogliono mettere a disposizione spazi poco utilizzati o inutilizzati delle proprie abitazioni a fronte di un contributo alle spese di casa, di un piccolo aiuto e/o di compagnia. Un progetto firmato Università degli Studi di Roma Tor Vergata che nasce per affrontare il problema dell’housing universitario in modo strutturato e unico nella Regione Lazio in un’ottica di valorizzazione dei rapporti dell’Ateneo con il territorio e di costante cura della propria comunità. Insieme Siamo Migliori / Together We Are Better intende alimentare un circolo virtuoso capace di supportare chi ospita
con un contributo alle spese di gestione della casa e garantire a chi è ospitato/a un ambiente familiare e tranquillo in cui poter vivere, a un costo contenuto. Dopo un’accurata indagine tra gli studenti e la somministrazione di specifici questionari a potenziali ospitanti il progetto è partito ufficialmente con la nascita di una piattaforma apposita, la creazione di un team di operatori e operatrici formate e l’avvio di tutti gli specifici strumenti di gestione. La partecipazione è semplice e intuitiva: dopo la registrazione come studente/studentessa o come ospitante, la richiesta viene presa in carico dal team operativo, valutata ed elaborata attraverso la proposta di vari abbinamenti in modo da garantire la forma di convivenza più idonea ed efficace.
Maggiori informazioni: alloggi@uniroma2.it 06-72592565
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Il contributo delle imprese all’agenda 2030
di Roberta Costa*
Nel 2015 le Nazioni Unite hanno adottato l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un ambizioso piano d’azione per promuovere prosperità economica, equità sociale e sostenibilità ambientale in tutto il mondo.
I 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’Agenda , articolati in 169 target e 244 indicatori, rispondono alle principali sfide globali, tra cui la povertà, le disuguaglianze sociali, il cambiamento climatico e il deterioramento degli ecosistemi. L’Agenda 2030 offre una visione integrata della sostenibilità, che richiede la collaborazione tra governi, società civile e imprese per la realizzazione degli SDG.
Le aziende, in particolare, giocano un ruolo cruciale nel raggiungimento degli SDG attraverso l’innovazione, lo sviluppo tecnologico e l’adozione di modelli di business sostenibili. Tuttavia, il crescente utilizzo del reporting degli SDG – la pratica di rendicontare il contributo aziendale agli obiettivi – ha sollevato preoccupazioni sulla reale trasparenza e autenticità di tali dichiarazioni.
*Professoressa associata di Ingegneria economico - gestionale roberta.costa@uniroma2.it
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In alcuni casi, infatti, il reporting degli SDG potrebbe essere usato in modo simbolico, principalmente orientato a soddisfare le aspettative degli stakeholder piuttosto che a promuovere un reale impegno verso la sostenibilità. Questo fenomeno, noto come SDG washing, rappresenta un rischio per l’integrità dell’Agenda 2030, compromettendo il progresso effettivo verso gli obiettivi dichiarati. Al contrario, un approccio sostanziale prevede l’integrazione della sostenibilità nel modello di business aziendale, con un cambiamento concreto e duraturo nelle pratiche gestionali e operative. Identificare e distinguere questi due approcci è fondamentale per garantire che il reporting sugli SDG contribuisca effettivamente agli obiettivi dell’Agenda 2030. Il gruppo di Ingegneria gestionale del nostro ateneo, in collaborazione con ricercatori della Technical University of Denmark e della Universidad Politécnica de Madrid, ha investigato questo fenomeno su un campione di 376 aziende di
differenti dimensioni e appartenenti a diversi settori e paesi. Il nostro studio parte dal presupposto che l’approccio simbolico alla rendicontazione degli SDG, assimilabile a una forma di greenwashing, si manifesti spesso con la pubblicazione di report ampi e articolati, ricchi di indicatori che vengono presentati con uno scarso livello di dettaglio . Lo studio ha analizzato i report aziendali delle 376 imprese attraverso due indicatori creati per valutare la completezza e l’accuratezza delle informazioni rendicontate sugli SDG.
I risultati mostrano che molte aziende adottano un approccio simbolico , che fa dubitare del loro reale contributo agli SDG. In conclusione, questo studio evidenzia la necessità di un’analisi critica e analitica delle pratiche di reporting per distinguere tra rendicontazione simbolica e sostanziale, contribuendo a una maggiore trasparenza e fiducia tra le aziende e i loro stakeholder.
Fonti
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BIP a new Erasmus+ experience
di Marcela Mirabela Salavastru*
Inclusion is a condition in which all individuals have equal opportunities regardless of differences such as disability, socioeconomic background or other personal characteristics. The principles of equality and inclusiveness are part of the core values of the European Union , and the Erasmus+ programs play a key role in developing more inclusive and cohesive societies by promoting equal opportunities , inclusion , diversity and equity in all its actions. Tor Vergata University of Rome strives to be a point of reference for the evolution of the European and extra- European intercultural integration. To support internationalization, the University takes advantage of the Erasmus+ resources to establish and manage didactic and scientific cooperation programs and agreements at multilateral and bilateral levels between the University and Companies, Corporations and Higher European and Extra- European Education Institutions.
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*Ufficio mobilità Erasmus+ - mirabela.salavastru@uniroma2.it
A BIP must be designed and implemented by at least 3 ECHE-Holding Higher Education Institutions. The physical component of a BIP lasts between 5 and 30 days, and students must earn at least 3 ECTS credits. The minimum number of participants is 15 learners, i.e., students and learner staff involved in the BIP, excluding teachers and trainers on Erasmus+ mobility. Since 2021, through BIP projects and nclusion strategies, Tor Vergata University has enabled access to the Program for individuals with fewer opportunities. BIPs allow the participation of students facing socio- economic disadvantages who cannot carry out long- term mobility. The BIP project aims to remove barriers that may prevent the full and effective
Tor Vergata University has participated in several Blended Intensive Program (BIP) projects organized within the Universeh Alliance , of which the University is a member. Information about BIPs organized by Tor Vergata University and those in which the University participates is available at https://web.uniroma2.it/it/p ercorso/campus/sezione/bl
inclusion of students in Erasmus+ projects through short-term mobility opportunities. In June and July 2024, two BIPs in the area of economics were organised, with a total of 62 students participating from Romania, Turkey, Cyprus, Albania, England, Spain, Germany, Norway and Estonia. For the academic year 2024-2025, Tor Vergata University will participate in a new BIP: the Arctic Winter School, organized by the University of Lulea within the Universeh Alliance.
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Blended Programs
Intensive
are short, intensive programs that use innovative learning and teaching methods. By enabling new and more tflexible mobility formats that combine physical mobility with a virtual part, BIPs aim at reaching students from all backgrounds, study fields and academic levels.
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Acquaponica limiti e soluzioni
di Davide Frassine*
Ma cos’è esattamente l’acquaponica? Si tratta di una tecnica che combina la coltivazione di piante fuori suolo (idroponica) con l’allevamento di pesci (acquacoltura). Quando ho iniziato il mio progetto di ricerca del Dottorato in Biologia sapevo ben poco sull’acquaponica e, ancora oggi, noto che questo termine lascia molte persone perplesse. In un impianto di acquaponica, i pesci vengono alimentati normalmente, mentre i loro scarti metabolici sono convogliati in biofiltri. Qui, batteri benefici trasformano i residui organici in nutrienti più facilmente assimilabili dalle piante. Le piante, cresciute in idroponica, assorbono i nutrienti dall’acqua che circola nelle vasche di coltivazione, depurandola dagli scarti dei pesci. L’acqua così purificata ritorna quindi al compartimento dei pesci, chiudendo il ciclo del sistema. La letteratura scientifica evidenzia ampiamente come l’acquaponica, un sistema innovativo di coltivazione fuori suolo, sia estremamente efficiente, efficace e sostenibile. Le piante crescono più rapidamente, i prodotti sono di alta qualità, il consumo idrico è ridotto al minimo e l’impatto ambientale è molto contenuto.
*Dottorando di ricerca in Biologia evoluzionistica ed ecologia davide.frassine91@gmail.com
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potassio e fosforo sono forniti dagli scarti metabolici dei pesci, ma i micronutrienti vengono progressivamente esauriti man mano che le piante li assorbono dall’acqua per sostenere la crescita. Per garantire uno sviluppo ottimale delle piante, è quindi necessario reintegrare questi micronutrienti nel sistema. Il mio progetto di ricerca si concentra proprio su questo aspetto: sviluppare soluzioni alternative ai prodotti commerciali per fornire alle piante i micronutrienti mancanti.
Da
tre
anni
lavoro
Con il tempo, l’acquaponica si è delineata come una potenziale alternativa all’agricoltura tradizionale, non più sufficiente per nutrire i 10 miliardi di persone previste entro il 2050, nell’era dei cambiamenti climatici. Ma qual è il limite principale di questo sistema? La carenza progressiva di micronutrienti, in particolare ferro e zinco. Nei sistemi acquaponici, i macronutrienti come azoto,
nell’impianto di acquaponica situato in una serra dell’Orto Botanico del nostro ateneo, dove insieme al gruppo di ricerca dell’Orto ho testato due approcci innovativi su varietà italiane di lattuga e pomodoro. pilota Nel primo esperimento è stato realizzato un integratore fogliare a partire da una biomassa residua derivata dalla lavorazione industriale della spirulina, un cianobatterio sempre più utilizzato in diversi ambiti.
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Nel secondo approccio è stato sviluppato uno smart fertilizer costituito da microparticelle di carbonato di calcio funzionalizzate con ferro e zinco. Entrambe le soluzioni si sono rivelate efficaci, migliorando la qualità e le caratteristiche delle piante analizzate. Questa ricerca ha aggiunto un importante tassello alla comprensione e alla gestione della carenza di micronutrienti nei sistemi acquaponici, contribuendo a rendere questa tecnologia ancora più sostenibile e competitiva.
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La vita vegetale ai confini dell’estremo
di Roberto Braglia*
Nella nostra rubrica dedicata alle piante, possiamo affermare con certezza che il regno vegetale ha dimostrato una straordinaria capacità di adattamento, colonizzando ambienti estremi e trovando rifugio in “nicchie ecologiche” remote. Un esempio concreto di questa resilienza può essere osservato nell’Orto Botanico del nostro Ateneo, dove alcune specie straordinarie mostrano come la vita si sia adattata a condizioni ambientali proibitive. Prendiamo, ad esempio, Fenestraria rhopalophylla , una pianta presente nella nostra collezione di “succulente”. Gli esseri viventi hanno davvero un limite? Fin dove può arrivare la vita? Esistono ancora angoli del nostro pianeta in cui la presenza di organismi viventi non è stata rilevata?
*Coordinatore dell’Orto Botanico dell’Università di Roma Tor Vergata roberto.braglia@uniroma2.it
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