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nella relazione asimmetrica fra quest’ultimo e paziente, considera il controtransfert unicamente come il depositario di errori, fraintendimenti, nevrosi e lacune nel funzionamento complessivo dell’analista, e di alcuna utilità nel lavoro interpretativo (Lacan, 1966). Il concetto lacaniano di controtransfert inteso come il bisogno di includere la precessione (specifico termine lacaniano per 'precedenza', ‘anticipazione’, N.d.T.) del desiderio dell’analista su quello del paziente per comprendere l’intera dinamica intersoggettiva della situazione – a cui fa eco la sua famosa affermazione che la “resistenza” in analisi è prima di tutto la resistenza dell’analista – ha ancora oggi risonanza, specialmente all’interno dell’orientamento intersoggettivo francese in Europa e in Nord America (Furlong, 2014). Comunque, Freud fece alcune osservazioni che possono essere considerate come una anticipazione della visione secondo cui il controtransfert è uno strumento terapeutico attraverso il quale l’analista può entrare in contatto con qualche aspetto dell’inconscio del paziente . Egli scrisse che l’analista “deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso l’inconscio del malato che trasmette: deve disporsi verso l’analizzato come il ricevitore del telefono rispetto al microfono trasmittente. Come il ricevitore ritrasforma in onde sonore le oscillazioni elettriche […], così l’inconscio del medico è capace di ristabilire, a partire dai derivati dell’inconscio che gli sono comunicati, questo stesso inconscio che ha determinato le associazioni del malato” (Freud, 1912, p. 536-537). Inoltre, mentre elaborava la sua concezione dei processi inconsci, Freud (1914) diresse particolare attenzione non solo alle dinamiche inconsce del paziente, ma anche esplicitamente a quelle dell’analista nella situazione analitica. Si espresse chiaramente riguardo al fatto che i processi psichici consci e inconsci del paziente e dell’analista sono profondamente intrecciati . Annie Reich, nel 1951, sottolineò un particolare aspetto di tale situazione: Per l’analista, il paziente può rappresentare “un oggetto del passato sul quale sono proiettati stati emotivi e desideri infantili (Reich, 1951, p. 26; trad.it. p. 54-55). Poiché il transfert è onnipresente, ci si può aspettare che gli analisti avranno dei transfert verso i loro pazienti nello stesso modo in cui i loro pazienti ce li avranno verso di loro. E gli stati emotivi transferali saranno largamente inconsci sia per il paziente che per l’analista. Questo punto è anche illustrato da un’osservazione di Freud in “Analisi terminabile e interminabile” (1937a), in cui egli sottolinea come “il fatto di avere a che fare ininterrottamente con tutto ciò che è rimosso […] [potrebbe] destare anche nell’analista tutte quelle richieste pulsionali che di norma egli riesce a tenere represse. Sono anche questi ‘pericoli dell’analisi’. […]. [Perciò] ogni analista dovrebbe periodicamente […] rifarsi oggetto di analisi” (Freud, 1937a, p. 532). Confrontata con le precedenti affermazioni, questa presenta un aspetto chiaramente diverso della relazione paziente-analista; le reazioni all’inconscio del paziente possono attivare processi e anche cambiamenti nell’analista . Sebbene inizialmente il controtransfert sia stato principalmente concettualizzato come un rischio – nel senso che i transfert dell’analista sui pazienti gli possono impedire di valutare spassionatamente il paziente e possono interferire con la sua oggettività, con la sua neutralità e con l’efficacia clinica – nella prospettiva dell’ultimo Freud esso sembra rappresentare il punto di arrivo di un ‘altro’ orientamento nella sua riflessione sul soggetto, precedentemente solo accennato. Il controtransfert diviene quindi non solo una questione di dinamiche meramente
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