Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell'IPA

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mettono in moto […] invece di scaricarli (come fa il paziente), e di subordinarli all’impegno analitico” (Heimann, 1950, 81-82; trad. it. 97). Perciò il controtransfert dell’analista è, secondo la Heimann, uno strumento di indagine nell’ inconscio del paziente , uno dei più importanti strumenti per il lavoro analitico: la condizione del suo uso analitico è, comunque, che esso sia riconosciuto in quanto tale, e non agito. Le formulazioni della Heimann (1960, 1982) giunsero a dominare e ad ispirare gli scritti sul controtransfert in un vasto ambito di culture psicoanalitiche. A questa prospettiva venne dato il nome di “ visione bipersonale” del controtransfert , la quale rappresenta il riconoscimento che il controtransfert è in parte una creazione dell’interazione fra analista e analizzando, oltre ad un trasferire sul paziente – da parte dell’analista – residui di propri, precedenti stati emotivi inconsci. In questa prospettiva allargata, il termine “controtransfert” si riferisce a tutti gli stati emotivi, fantasie ed esperienze di tutti i tipi che un terapeuta ha riguardo a un paziente, e non solo ciò che deriva dalle sue stesse pulsioni ed angosce inconsce, dai suoi oggetti interni e relazioni del passato. Questa prospettiva allargata sul controtransfert fu contemporaneamente proposta da altri importanti autori come Donald Winnicott (1949) in Inghilterra e Heinrich Racker in Argentina (1948, 1953, 1957, 1968). Questi sviluppi paralleli in Inghilterra e in America Latina furono segnalati da Horacio Etchegoyen (1986), che sottolineò il fatto che le formulazioni della Heimann e di Racker procedettero indipendentemente l’una dall’altra, con marcate similarità ma anche differenze. In Inghilterra, la prospettiva appena delineata della Heimann sul controtransfert fece clamore sullo sfondo dei dibattiti controversi concernenti il concetto di “ identificazione proiettiva ” della scuola kleiniana. Sebbene il termine “identificazione proiettiva” fosse stato precedentemente utilizzato da Edoardo Weiss (1925) e da Marjorie Brierley (1944), è a Melanie Klein che di solito si attribuisce la formulazione del concetto, insieme al concetto collegato di fantasia onnipotente di intrusione in un oggetto . Sebbene la Klein fosse chiaramente non interessata all’uso clinico del controtransfert (Spillius, 1994), il suo concetto di identificazione proiettiva è strettamente collegato al concetto di controtransfert nel senso allargato: l’identificazione proiettiva (cfr. la voce IDENTICAZIONE PROIETTIVA) implica che il paziente proietti nell’analista i suoi stati emotivi (all’inizio si sottolinearono quelli “cattivi” e distruttivi, prima che il concetto fosse allargato). Dal punto di vista teorico, relativamente al controtransfert, ne consegue che le fantasie e gli stati emotivi inconsci che si verificano nell’analista possono essere visti come indotti dall’analizzando. Racker (1948, 1953, 1957), in Argentina, utilizzò il concetto di identificazione proiettiva nel contesto clinico del controtransfert. Mentre nelle concettualizzazioni di Racker riguardo al controtransfert sono riconoscibili le influenze sia freudiane che kleiniane, la rassegna di De Bernardi (2000) riguardo alla tradizione latino-americana sul controtransfert colloca Racker in una posizione complessivamente più kleiniana che freudiana, in quanto egli attinge in modo prominente dalle idee di fantasia inconscia e dai meccanismi di proiezione ed introiezione.

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