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concetto di Ferenczi di identificazione con l’aggressore (1927, 1932) nel suo concetto di identificazione complementare (con gli oggetti interni aggressivi del paziente), ed elaborò ulteriormente i punti di vista di Balint sul controtransfert nelle istituzioni gerarchiche di training. Alcune di queste prime idee di Ferenczi e di Balint giunsero, attraverso Clara Thompson (Thompson, 1964), alla scuola interpersonale di Sullivan negli Stati Uniti, nella quale il carattere co-costruttivo dello scambio analitico venne ulteriormente accentuato (sebbene la regressione, così cruciale in Ferenczi, Klein e Racker, non fosse più presa in considerazione). In questo contesto, così come nel contesto di tutti gli sviluppi che seguono, è importante sottolineare che considerare il transfert e il controtransfert come co-costruiti e co-elaborati non riduce le responsabilità dell’analista e l’impegno a lui richiesto. Il lavoro del controtransfert si muove su livelli consci ed inconsci, e il lavoro del comprendere il controtransfert si estende ben al di là dell’ora in cui sono emersi alcuni suoi aspetti. A differenza del controtransfert, il meccanismo dell’identificazione proiettiva non è stato universalmente accettato in psicoanalisi. Pur riconoscendo l’aspetto controtransferale nelle situazioni in cui i pazienti inducono certe esperienze e/o risposte comportamentali nei loro analisti, gli psicologi dell’Io e i teorici del conflitto hanno preferito parlare di “ attualizzazioni transferali ” e di “ responsività di ruolo ”, enfatizzando il realizzare le fantasie inconsce del paziente da parte dell’analista, sostenendo che questi termini siano descrittivamente più vicini all’esperienza analitica (Sandler, 1976). In Inghilterra, Sandler (1976) – col suo concetto di “responsività di ruolo” – propone una definizione a partire da un altro orientamento teorico, quello dei “Freudiani Contemporanei” britannici. Egli descrive come il paziente tenti di attualizzare, di portare nella realtà – cioè nel comportamento interattivo – le sue relazioni oggettuali interne. Questa interazione intrapsichica, che comporta un ruolo per il soggetto e un altro per l’oggetto interno, evoca una risposta particolare nell’analista. Talvolta l’analista può notare in sé un impulso a comportarsi in un certo modo, ma spesso egli si accorge solo in seguito di avere già cominciato a comportarsi in un determinato modo col paziente (e questo è il contesto in cui ha una particolare rilevanza la discussione delle differenze tra il concetto di “enactment” e quello di controtransfert). Secondo Sandler, le reazioni controtransferali dell’analista costituiscono dei compromessi : esse rispecchiano i desideri e le aspettative inconsce del paziente , ma anche le tendenze proprie dell’analista che il paziente ha spesso inconsciamente notato, traendone vantaggio. La consapevolezza che l’analista ha di tali proprie risposte di ruolo può costituire un indizio vitale per cogliere il conflitto transferale dominante nel paziente. Nel frattempo, la cosiddetta psicoanalisi meanstream nordamericana degli anni Cinquanta e Sessanta, incentrata sulla teoria strutturale della Psicologia dell’Io, continuava a basarsi su un modello unipersonale , e sosteneva la definizione ristretta del controtransfert. Le concettualizzazioni classiche collocavano il controtransfert nella psiche degli analisti, in uno spettro di emozioni, resistenze, conflitti interni, macchie cieche, atteggiamenti consci e
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