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In certi casi, Freud (1929, 1930 a, b) equipara il sé con l’Io. In “Il disagio della civiltà” usa il termine “Selbst” ed “Ich” in una stessa frase per riferirsi al Sé, come per es. nell’originale tedesco: “Normalerweise ist uns nichts gesicherter als das Gefühl unseres Selbst, unseres eigenen Ichs.” (Freud 1930a, p. 423). La traduzione inglese corrispondente di Strachey recita: “Normally, there is nothing of which we are more certain than the feeling of our self, of our own ego” (Freud, 1930b, p. 65). La traduzione italiana è: “Normalmente nulla è per noi più sicuro del senso di noi stessi, del nostro proprio Io” (Freud 1929, p. 559; la traduzione italiana delle Opere di Freud nella edizione Bollati Boringhieri, a cui si farà sempre riferimento, si basa su GW con l’aggiunta dell’apparato critico di SE, N.d.T,). In alcuni casi Freud equipara il sé con la persona intera. Scrivendo a proposito dell’“Ich malato” (Freud, 1940a, b), afferma: “Das kranke Ich verspricht uns vollste Aufrichtigkeit, …, wir sichern ihm strengste Diskretion…” (Freud 1940a, p. 98). La traduzione inglese di Strachey recita: “The sick ego promises us the most complete candor … we assure the patient of the strictest discretion …” (Freud 1940b, p. 173). La traduzione italiana è: “L’Io del malato ci promette la più completa sincerità …, noi gli assicuriamo la più rigorosa discrezione” (Freud 1938, p.600). Un’altra pagina nel “Compendio” descrive il sé come un aspetto dell’Io, laddove Freud afferma: “… wenn das Ich einer Versuchung erfolgreich widerstanden hat, etwas zu tun, was dem Überich anstössig ware, fühlt es sich in seinem Selbstgefühl gehoben…” (Freud 1940a, p. 137). Nella traduzione di Strachey, “…if the ego has successfully resisted a temptation to do something which would be objectionable to the superego, it feels raised in its self-esteem …” (Freud 1940b, p. 206). La traduzione italiana è: “quando l’Io ha resistito con successo alla tentazione di fare qualcosa che potrebbe urtare il Super-io, si sente innalzato nel proprio sentimento di sé…” (Freud, 1938, p. 633). Nello stesso testo (Freud 1940a, b), riassumendo idee da precedenti scritti (Freud 1914), Freud mette in contrasto ‘Ichliebe’ e ‘Objektliebe’ (Freud 1940a, p.71), cioè ovviamente l’amore di sé e l’amore oggettuale. Strachey lo traduce come “the contrast between ego-love and object-love” (Freud 1940b, p.148). La traduzione italiana è: “il contrasto tra amore dell’Io e amore oggettuale” (Freud, 1938, 575). Tale traduzione, rendendo confusiva l’ambiguità, può aver contribuito all’esigenza di una correzione da parte di Heinz Hartmann (1950) attraverso una progressiva separazione concettuale dell’ego dal sé, e del sé dalle rappresentazioni del sé; questa operazione, mentre è utile nell’ambito di ulteriori sviluppi concettuali, al tempo stesso può aver complicato la concettualizzazione delle relazioni fra le impersonali funzioni dell’io da una parte e la soggettività dall’altra. Secondo Otto Kernberg (1982, p. 898), tale caratterizzazione ristretta può aver contribuito alla rimozione del sé dalla metapsicologia, di conseguenza impoverendolo e rendendolo quasi un “concetto luogo comune” (“common-sense concept”) (Moore e Fine, 1968, p. 88). Nonostante questa tendenza, alcuni autori postfreudiani nordamericani hanno cercato di elaborare il carattere dualistico di “Ich” (“Io”) e “Ego” (Jacobson 1964, Mahler 1979, Kernberg 1982).
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