Non parliamo di semplice storytelling che spesso diviene washing-green o pink – declinato in un continuo aggiornamento del politically correct o della cancel culture – ma di cambiamento che conduce a profonde forme di creazione di valore e di sua distribuzione lungo tutte le filiere produttive. Nell’universo della pubblicità, del marketing, di tanti settori a partire dai tecnologici e dalla moda pionieri delle nuove tendenze, l’ideale
dell’autenticità viene riassunta in claim e mantra efficaci: «Be Yourself» (Calvin Klein), «Non imitate ma innovate!» (Hugo Boss), «Divieni ciò che sei» (Lacoste), l’indimenticabile «Think different» (Apple) e di recente «Spogliamoci degli stereotipi» (la body positivity & neutrality per Coop). L’autenticità è brandita anche dalle marche del lusso (per Lipovetsky lo chic-ribelle) e non più solo dai movimenti boycott e anti-istituzionali.
Si realizza il passaggio epocale da una sostenibilità talvolta (mal) tollerata, vissuta come obbligo normativo nelle imprese, o
solo comunicata e sbandierata, ad una
sostenibilità praticata con costanza e profondità nella vita aziendale determinando l’allineamento fra purpose d’impresa e identità.
Un’identità, finalmente, autentica.
Fonti
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