Club Milano34

Cover story

dapprima ho cominciato a occuparmi di nuovi progetti per Missoni, ad esem- pio la linea bambino, la profumeria, la pelletteria. Poi sono passata a imposta- re il progetto di brand identity che non era mai esistito fino a quel momento. È solo in seguito che ho capito che era la moda il vero ambito all’interno del quale avrei voluto esprimermi. È nata così la linea Angela Missoni: pezzi in maglia, tendenzialmente in tinta unita. Quello è stato per me un importante punto di partenza. Il modo vero con cui ho iniziato a comunicare con mia madre sullo stesso piano a livello lavo- rativo, creativo e professionale. Le sono piaciuta e a un certo punto, guardando una mia collezione, ha detto: «Questo è quello che Missoni dovrebbe essere oggi» e mi ha passato le redini creative dell’azienda. È vero che ha provato anche ad alle- vare polli? Sì, era una delle idee che avevo relati- vamente alle colture e agli allevamenti biologici di cui le ho parlato prima. Cos’è la moda per lei? Un gioco combinatorio che coinvol- ge istinto, cultura e innovazione. Una personale, e libera, appropriazione e interpretazione di dati, stilemi, spunti formali, elementi decorativi, conte- nuti estetici. La mia concezione della moda implica, alla pari, memoria e ricerca, passato e contemporaneità, norma e trasgressione, provocazione e sense of humour . Ho avuto la fortuna di ereditare un linguaggio esclusivo e immediatamente universalmente rico- noscibile, che può mutare all’infinito, esprimere significati diversi, interpre- tare e improntare il tempo. Nell’aprile del 1967 Missoni presen- tò la nuova collezione a palazzo Pitti

di sua madre, presa da una crisi di rigetto ha lasciato l’Italia. E poi cosa è successo? Non mi sono mai “rifiutata”. Ho lavora- to da quando avevo 19 anni nei periodi di vendita, per avere un’indipendenza economica, riuscendo così nello stesso periodo ad andare ad abitare da sola. Non mi sono mai trasferita del tut- to all’estero. Ho lavorato, in seguito, come assistente di mia madre in atelier , dai 23 anni ai 28 anni, e poi ho avuto i miei tre figli… Ed è proprio in quel periodo, quando sono stata a casa con loro, che mi sono dedicata a progetti diversi e ho cominciato a pensare che potevo orientare la mia vita al di fuo- ri dell’azienda. I miei genitori non mi hanno mai forzata a lavorare con loro, e questo discorso è valso anche per i miei fratelli: abbiamo tutti iniziato in maniera quasi naturale. Poi, quando ho capito bene il costo emotivo e psicolo- gico che poteva avere su di me un’inte- razione quotidiana, fianco a fianco con il talento, l’esperienza e la determina- zione imprenditoriale di mia madre Rosita e di mio padre Ottavio che ve- devano molto lungo, mi sono informal- mente prospettata un’alternativa. Un’alternativa… In che senso? Il nome e l’assetto imprenditoriale di Missoni sono come una grande cu- pola sotto la quale possono confluire e convivere attività diverse: Missoni non sono solo vestiti da indossare. Ho iniziato a pensare a qualcosa che fos- se completamente concepita e con- trollata da me. Così, senza pressioni né imposizioni, mi sono sentita libera di prendere o lasciare, libera di con- frontarmi con un piano tutto mio o di non farlo, o di non fare. Ho accettato gli spunti che arrivavano dall’esterno,

a Firenze, facendo sfilare le modelle senza reggiseno. Fu uno scandalo. Da allora quanto è cambiato il modo di fare scandalo in passerella? Non ridurrei l’episodio a uno scandalo, lo chiamerei piuttosto un’idea di co- municazione, allora forse involontaria o completamente mirata a valorizzare e spettacolarizzare i modelli... Fu un gesto o una scelta d’amore, contestua- lizzata in un periodo di grandi idea- li stilistici e di autentica fiducia nel nuovo. Direi che eravammo di fronte a un’idea di comunicazione che ha pre- corso il tempo, visto che oggi il come è diventato più importante del cosa. Abbiamo vissuto, a partire da quegli anni, la destabilizzazione di un rito codificato come la sfilata che, da Yves Saint Laurent a Jean Paul Gaultier o da McQueen a Tisci, non ha conosciu- to né limiti, né alcuna censura. E dal 1967 a oggi ha comunque avuto come suoi principali focus i cliché o i ghetti della bellezza e della sessualità, i teatri del mostrare e del celare, dell’essere e dell’apparire. La collezione autunno inverno 2016- 17 che ha interamente disegnato è una delle migliori collezioni di sempre, a detta dei critici. Da dove arriva l’ispi- razione? Ho voluto riscoprire l’essenzialità, la linearità del knitwear e lo spirito del tempo che quella moda ha generato. C’è una traccia ideale, ricordata a me- moria, di anni che, tra Settanta e Ot- tanta, ha visto trionfare la libertà di essere, sedurre, trasgredire. C’è la leg- gerezza di un vestire fatto di scelte e accostamenti informali, personali, stri- denti, sbagliati, inaspettati. Il trionfo di capi che il tempo ha reso transgenera- zionali, epocali passepartout come la

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