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riferimento concettuali, per poi tentare – nella Conclusione - di categorizzarli. Nel corso dell’intera voce verrà sottolineato il carattere diffusamente internazionale di tale evoluzione concettuale. Per quanto riguarda lo stile di esposizione: i titoli delle pubblicazioni sono scritti in lettere maiuscole e virgolettati; le citazioni tra virgolette seguite dal numero di pagina si riferiscono a citazioni letterali; i corsivi evidenziano i tratti definitori del concetto all’interno di una particolare scuola di pensiero, o una terminologia emergente.
II. STORIA ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO
II.A. Freud e la “definizione ristretta” del controtransfert La prima apparizione del termine è in una lettera di Sigmund Freud a Carl Gustav Jung del giugno 1909, che si riferisce alle esperienze di quest’ultimo nella sua storia d’amore con Sabina Spielrein: “Esperienze del genere, sebbene dolorose, sono necessarie e difficilmente ci si può sottrarre ad esse. Solo dopo averle vissute si conoscono la vita e ciò con cui si ha a che fare. […]. Ci si fa in tal modo la necessaria pelle dura, si domina il controtransfert in cui ci si viene a trovare ogni volta, e s’impara a spostare i propri affetti e a piazzarli in modo opportuno. È ‘a blessing disguise’” (Freud [1909], 1974, p. 248). La prima volta che il concetto compare ufficialmente in una pubblicazione è nel 1910, in “Le prospettive future della terapia psicoanalitica”, dove Freud scrive: “Abbiamo acquisito la consapevolezza del ‘controtransfert’ che insorge nel medico per l’influsso del paziente sui suoi stati emotivi inconsci, e non siamo lungi dal pretendere che il medico debba riconoscere in sé questo controtransfert e padroneggiarlo. […]. Ogni psicoanalista procede esattamente fin dove glielo consentono i suoi complessi e le sue resistenze interne” (Freud, 1910, p. 200-201). Vale la pena di notare che il termine tedesco “Gegenübertragung” usato da Freud in questa frase fu inizialmente tradotto in spagnolo da López-Ballesteros (1923) con l’espressione “transferencia reciproca”, cioè “transfert reciproco”. Due anni dopo, in “Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico”, Freud (1912) sostenne la necessità dell’analisi di training per riconoscere, affrontare e superare il controtransfert, come preparazione per lavorare analiticamente coi pazienti. E successivamente aggiunse: “Penso perciò che non si debba abbandonare quella impassibilità a cui si è pervenuti trattenendo il controtransfert” (Freud, 1914, p. 367). Freud considerava la mente dell’analista come uno ‘strumento’, il cui funzionamento efficace è ostacolato dal controtransfert, e dalle limitazioni imposte al lavoro analitico dai conflitti irrisolti e dalle macchie cieche dell’analista. Perciò, il controtransfert fu considerato un
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