Dizionario Enciclopedico di Psicoanalisi dell'IPA

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identificatoria dell’analista rispetto a certi oggetti interni o aspetti del sé del paziente, Grinberg si focalizzò sugli aspetti comunicativi arcaici dello scambio proiettivo-introiettivo , in una direzione che fu poi ripresa da Bion. La proposta iniziale di Grinberg fu che la controidentificazione proiettiva implichi un “ cortocircuito ” nella comunicazione della coppia analitica. Il suo assunto era che il paziente “metta” nella psiche dell’analista alcuni aspetti di sé stesso con una tale violenza proiettiva da far sì che l’analista, come un recettore passivo, li assimili come propri, realmente e concretamente (Grinberg, 1956, p. 508). Riferendosi al suo concetto in relazione all’acting out, Grinberg scrive: “L’analista che soccombe agli effetti delle identificazioni proiettive patologiche del paziente può reagire ad esse come se egli avesse realmente acquisito gli aspetti che sono stati proiettati su di lui (gli oggetti interni o parti del sé del paziente). L’analista si sente passivamente ‘trascinato’ a giocare il ruolo che il paziente lo ha letteralmente ‘forzato’ ad avere, in modo attivo sebbene inconscio. Ho chiamato ‘controidentificazione proiettiva’ questo specifico tipo di risposta controtransferale” (1968, p. 172 [corsivo aggiunto]; citazione tradotta per questa edizione T.d.T.). Rispetto al concetto di controtransfert complementare di Racker, in cui la risposta emotiva dell’analista è basata sui suoi propri conflitti ed ansie, identificandosi coi propri oggetti interni simili a quelli dell’analizzando, Grinberg ha concettualizzato la risposta dell’analista come qualcosa di relativamente indipendente dai suoi propri conflitti. Il merito di Grinberg fu di evidenziare che l’inconscio dell’analista non è primariamente coinvolto, e che di conseguenza l’introspezione dell’analista non è sufficiente per avere un accesso immediato alle radici di tale controidentificazione proiettiva. Grinberg mise in evidenza ciò che anni dopo divenne noto come il carattere irriducibile dei “ micro acting-out ” del controtransfert, che costituiscono per l’analista uno stadio intermedio nella ricerca di insight sugli aspetti arcaici della psiche del paziente. Tale stadio non può essere evitato se l’analista intende conoscere l’intera tessitura dell’oggetto trasferito (Grinberg, 1982). Il contributo di Grinberg (1956) fu quello di mettere in luce che l’intenzionalità inconscia dell’analizzando produce effetti nella psiche dell’analista attraverso l’identificazione proiettiva, non più concepita come una fantasia intra-soggettiva (Klein,1946), bensì come un processo interattivo tra due menti . Tre anni dopo Bion (1959) evidenziò esplicitamente questo aspetto comunicativo dell’identificazione proiettiva. Con l’evoluzione delle sue idee sulla controidentificazione proiettiva, Grinberg identificò nuovi strumenti metapsicologici per riconcettualizzare il controtransfert dell’analista. Il suo concetto di controidentificazione proiettiva sottolinea l’aspetto comunicativo dell’identificazione proiettiva come un messaggio enigmatico , ineffabile, che può essere espresso soltanto attraverso la drammatizzazione transferale-controtransferale attivata dal paziente. Nel contesto clinico, tale concetto della drammatizzazione transferale- controtransferale ha anticipato quello dell’ascolto dei livelli più arcaici della psiche del paziente tramite la deviazione dell’ enactment , concetto sviluppato anni dopo (Jacobs, 1986; Godfrind-Haber & Haber, 2002; Mancia, 2006; Sapisochin, 2013; Cassorla, 2013). A partire dai tardi anni Cinquanta, Bion (1959) e Rosenfeld (1962) hanno sviluppato il concetto con l’idea che l’identificazione proiettiva sia una comunicazione inconscia

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