Newsletter di Ateneo n°2 #generazioni
UNINEWS TORVERGATA
Aprile 2024 n°2
#generazioni
SOMMARIO
#generazioni
In apertura di Carlo Nucci
Generazioni nella Resistenza italiana di Enrico Acciai
Metodo scientifico e AI: capire o prevedere? di Gianfranco Bocchinfuso Le giovani generazioni vogliono brand “veri” di Simonetta Pattuglia
Diabete: generazioni di terapie di Aikaterini Andreadi
Spazio, laboratorio per un futuro sostenibile di Loredana Santo
Costituzioni per generazioni future di Marco Fioravanti
ToVità Green Societies World Campus LE RUBRICHE
LabDoc
BotaniCampus
Direttrice responsabile Lucia Ceci
Progetto grafico Adriana Escobar Rios
UNINEWS TORVERGATA Contatti: uninews@uniroma2.it Web: https://n9.cl/uninewstv
Photo editor Riccardo Pierluigi
Web Scilla Gentili
Redazione Pierpaolo Basso, Thomas M. Brown, Marilena Carbone, Tommaso Continisio, Maria Rosaria D’Ascenzo, Adriana Escobar Rios, Francesco Fabbro, Scilla Gentili, Emanuela Liburdi, Federica Lorini, Florinda Magliulo, Andrea Sansone, Sabina Simeone, Marco Tirone, Chiara Tranquilli, Chiara Venturini
In copertina: ©Claudio Fraschetti
Chiuso in redazione: 16 aprile 2024
di Carlo Nucci* In apertura
Il secondo numero di Uninews TorVergata propone una serie di
scientifico, tecnologico e intellettuale viene promosso il progresso sociale, economico e culturale alla base del benessere delle generazioni future. Tra i temi su cui il nostro Ateneo ha assunto un ruolo educativo proattivo vi è certamente quello della sostenibilità e della responsabilità ambientale, favorendo l’integrazione di principi di sviluppo sostenibile in tutti gli aspetti dell’istruzione e della ricerca. Queste tematiche sono affrontate in un articolo dedicato allo “spazio sostenibile” per le nuove generazioni, nel quale si focalizza l’attenzione sui temi dello sfruttamento delle risorse, della contaminazione dei nuovi ambienti, dell’adattamento dell’essere umano a questi, approfondendo anche le tematiche di carattere giuridico-economico. In ambito storico, un articolo della Newsletter sottolinea l’importanza che le rivoluzioni atlantiche del Settecento, in particolare quella americana, hanno avuto nel concettualizzare il rapporto tra il potere costituente degli Stati e il rispetto dei diritti delle generazioni future, con l’idea che nessuna generazione possa limitare l’iniziativa e la libertà di quelle a venire con regole rigide e immodificabili. Anche la nostra Costituzione proprio recentemente è stata riformata introducendo tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nell’interesse delle future generazioni. Sempre in ambito storico un testo
approfondimenti che hanno come tema condiviso le “generazioni”. L’argomento è affrontato con spunti e riflessioni di rilievo che nascono da specifiche competenze e ambiti di ricerca di docenti delle diverse macroaree dell’Ateneo. La Newsletter della nostra Università si propone, quindi, come uno
strumento di approfondimento e divulgazione che possa favorire
collegamenti scientifici e culturali tra campi del sapere apparentemente distanti, promuovendo una visione tanto più complessa e integrata dei temi trattati. La scelta tematica di questo numero vuole sottolineare il forte legame tra Università e generazioni che da sempre ha rappresentato una connessione vitale nel tessuto sociale e culturale del Paese. L’Università è infatti la sede dove con metodologie sempre più innovative avviene il trasferimento del sapere e delle competenze, attraverso un processo non unidirezionale ma reciproco. Da un lato infatti docenti, ricercatori e ricercatrici impartiscono le conoscenze e il senso critico a studentesse e studenti, dall’altro le nuove generazioni, portatrici di esigenze e prospettive innovative, stimolano continuamente l’aggiornamento e la riconsiderazione dei contenuti didattici. L’Università è inoltre il luogo dove attraverso la ricerca scientifica e l’insieme delle attività di trasferimento
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*Prorettore vicario - prorettorevicario@uniroma2.it
ricorda come la Resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale sia stata un momento di confronto e ispirazione tra generazioni differenti, unite e motivate da un obiettivo comune. Nel fascicolo un contributo approfondisce l’impatto delle metodologie di ricerca basate su modelli statistici in grado fornire previsioni analizzando enormi quantità di dati ( machine learning ) rispetto agli approcci tradizionali. Le nuove generazioni di ricercatori e ricercatrici si trovano dunque di fronte ad una rivoluzione che investe le Università del compito di sviluppare le competenze, la consapevolezza etica e la capacità di pensiero critico necessarie per sfruttare al meglio tali strumenti di innovazione. Ancora un articolo affronta il tema della sensibilità delle nuove generazioni verso brand di consumo che esprimano
messaggi di autenticità e originalità nel rispetto di ciò che si è; portando ad una nuova cultura manageriale più sensibile agli aspetti della qualità e originalità dei prodotti. Infine, in ambito medico, viene proposto un contributo sull’impatto che le nuove generazioni di farmaci per il diabete hanno determinato sul trattamento della malattia, consentendo un miglioramento della qualità di vita delle e dei pazienti e un prolungamento della loro sopravvivenza. Certo che i molteplici argomenti affrontati in questo volume saranno di stimolo per nuovi spunti di confronto all’interno dell’Ateneo, mi auguro che questi possano coinvolgere la comunità accademica tutta, docenti, ricercatori e ricercatrici, personale tecnico, studentesse e studenti.
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GENERAZIONI NELLA RESISTENZA ITALIANA
Tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 in Italia si produsse un imponente movimento resistenziale che diede un fondamentale contributo alla liberazione del Paese dall’occupante nazista e alla definitiva sconfitta del fascismo.
di Enrico Acciai*
Si possono adottare molte chiavi di lettura per analizzare cosa accadde durante quei 20 mesi in una parte della penisola italiana: il Paese fu attraversato da una drammatica e violenta
guerra civile; in molti combatterono mossi da sincero spirito patriottico con lo scopo di cacciare l’occupante straniero, altri credettero che quella lotta sarebbe inevitabilmente sfociata in una rivoluzione sociale; all’interno di gran parte delle bande partigiane si sperimentarono forme e spazi di democrazia che mancavano da ormai un ventennio.
*Professore Associato in Storia Contemporanea - enrico.acciai@uniroma2.it
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L’elenco potrebbe essere ancora lungo, ci pare tuttavia esista un elemento ricorrente a prescindere dalla chiave di lettura adottata: durante quei lunghi mesi, all’interno delle bande partigiane si produsse un interessante incontro tra diverse generazioni di italiani e di italiane.
Di questa contaminazione intergenerazionale il movimento resistenziale beneficiò profondamente. Tendiamo spesso a pensare alla Resistenza come a un movimento costituito solo da giovani o giovanissimi; pur non trattandosi di una percezione del tutto sbagliata, non dobbiamo mai dimenticare come nelle bande non fosse raro trovare uomini e donne con qualche capello tendente al bianco o dal volto segnato dalle prime rughe. La Resistenza rappresentò, infatti, il punto finale di un movimento antifascista che, nel 1943, aveva ormai abbondantemente superato i venti anni di esistenza.
nell’ampio mondo dell’esilio. Tra la fine degli anni Venti e lo scoppio del Secondo conflitto mondiale gli antifascisti italiani non si erano solo stabiliti a Parigi, come fecero in alcune decine di migliaia di loro, ma li troviamo numerosi anche in Belgio, nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Messico, in Argentina o in Uruguay. Alcune centinaia di loro, a partire dal 1936, avevano inoltre partecipato alla Guerra civile spagnola.
Migliaia di questi esuli si trovarono, dopo il settembre del 1943, a prendere parte alla Resistenza italiana, avendo così la possibilità di entrare in contatto con dei giovani che non avevano conosciuto altro che l’Italia fascista o con antifascisti di più lungo corso che erano passati dalla traumatica esperienza del confino di polizia o dell’internamento coatto. Ai resistenti più giovani, che raramente si erano allontanati più di
L’antifascismo, inoltre, si era sviluppato tanto all’interno del Paese quanto
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antifascista appartenente più anziano di loro che aveva già combattuto in Spagna («grondava gloria e tristezza»). È proprio nella letteratura resistenziale che si possono trovare innumerevoli esempi di questi incontri tra generazioni; basti pensare alla strana coppia formata dal comandante Ferriera (di origine operaia e in avanti con gli anni) e dal commissario Kim (giovane studente di medicina) che appare nel Sentiero dei Nidi di Ragno di Italo Calvino.
qualche chilometro dai paesi natali, dette grande forza poter dialogare quotidianamente con chi aveva già combattuto altrove, con chi aveva visto il mondo o con chi aveva passato lunghi periodi nelle carceri fasciste. Senza allontanarsi troppo dalle zone di origine, questi giovani potevano non solo dare un respiro globale alla propria lotta, ma confrontarsi in prima persona con chi aveva già
Resistenza fu anche un’inedita occupazione di spazi lasciati vuoti da uno Stato che, dopo l’8 settembre del 1943, sembrava essersi frantumato. Un’esperienza, quindi, di radicale libertà per il cui successo si rivelò
fondamentale che generazioni diverse dialogassero e si confrontassero. Luigi Meneghello, nel suo
magistrale I piccoli maestri , avrebbe ricordato come lui e i suoi giovani compagni di banda ascoltassero «commossi e riverenti» un
provato a opporsi al fascismo. Non è poco considerando che la
Fonti
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METODO SCIENTIFICO E AI: CAPIRE O PREVEDERE?
di Gianfranco Bocchinfuso*
Nel 2008, quando di machine learning parlavano solo addetti ai lavori, Chris Anderson pubblicò l’articolo The end of Theory: The Data Deluge Makes the Scientific Method Obsolete. Il cuore della sua tesi è che modelli statistici in grado di analizzare enormi quantità di dati, sono in grado di fare previsioni più efficacemente degli approcci tradizionali basati sul metodo scientifico usati da generazioni di scienziati. Anderson sostiene quindi che gli scienziati e le scienziate debbano occuparsi di correlazioni più che di nessi di causalità. A supporto, riporta esempi di successo di tali metodi come la
*Professore associato in Chimica Fisica - gianfranco.bocchinfuso@uniroma2.it
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basata su analisi di big datanell’800. Boyle, Charles e Gay-Lussac avrebbero
depositato in qualche archivio i dati (P, T e V)
relativi a vari gas e qualche algoritmo (rigorosamente opaco al ricercatore) sarebbe stato in grado di prevedere una variabile, note le altre. Ma Clapeyron non avrebbe formulato la legge dei gas ideali, non avremmo la costante dei gas, non conosceremmo il numero di Avogadro, il concetto di mole e probabilmente Maxwell e Boltzmann non avrebbero sviluppato la teoria cinetica dei gas. Insomma, un modello è ben più delle previsioni che pure fa. Anche se
scoperta di nuove specie da analisi di sequenze di DNA. Partendo dunque dall’aforisma di Box «tutti i modelli sono sbagliati, qualcuno è utile» conclude che i modelli non siano più necessari. A un po’ di anni da quell’articolo, cosa ne è di quella inclemente sentenza? Siamo nel mezzo di una rivoluzione kuhniana, il cui cambio di
alle tecniche citate da Anderson. Restano però dubbi sulla possibilità che lo scenario prefigurato dai sostenitori e dalle sostenitrici di Anderson possa realizzarsi. Iniziamo chiedendoci cosa sia la conoscenza in ambito scientifico. I sostenitori di Anderson, entusiasti profeti del « correlation is enough», riducono la conoscenza alla capacità di fare previsioni affidabili. Nel metodo scientifico tradizionale la predittività dei modelli è necessaria in quanto funzionale alla loro falsificabilità, ma non è detto sia l’obiettivo. Un esempio ci aiuta a capire. In uno scenario controfattuale, immaginiamo una scienza
paradigma renderà obsoleto il metodo
scientifico? Una risposta a queste domande non c’è (forse perché, parafrasando Kuhn, la generazione che si oppone al cambiamento è ancora «viva e lotta!»). Certo, i big data sempre più pervadono la scienza e sempre più studiosi/e, più o meno consapevoli del sottostante cambio paradigmatico, ricorrono
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falsificato, citando Archimede nel dialogo con Gerone, «può aiutarci a trovarne uno migliore». A latere, l’idea di produrre saperi votati esclusivamente all’utile ha ricadute socio-economiche che non si possono ignorare, tanto che qualche
interpretazione dei dati (cioè affidarsi soltanto a data scientist , definizione che meriterebbe per sé di essere discussa) è scartata oggi anche dagli specialisti di analisi dei dati. La controversia tra modelli statistici basati solo su correlazioni o anche su nessi di causalità è del resto vecchia come la statistica, se si pensa alla distanza tra Pearson e Wright nella prima metà del ‘900. Oggi anche chi sviluppa modelli di intelligenza artificiale ricorre a modelli anche causali.
Infine, l’idea di prescindere dai nessi di causalità si basa sull’osservare ricorrenze, ma nei sistemi complessi il tempo perché si osservino tali ricorrenze può essere enormemente lungo; non a caso i modelli metereologici si basano sui modelli fluidodinamici e termodinamici dell’atmosfera più che sulla mera analisi dei dati. Insomma un futuro senza causalità sembra poco probabile. Concludiamo questa breve trattazione osservando che nei big data i dati non sono entità neutre cui attingere; i dati scientifici si acquisiscono con strumenti basati sui modelli causali e spesso sono acquisiti tenendo conto di un qualche preciso modello. Soprassediamo poi sulle problematiche etiche e
studioso o studiosa considera l’articolo di Anderson non una previsione, ma un programma.
Oltre questi aspetti, squisitamente epistemologici, ce ne sono altri che rendono la previsione di Anderson difficilmente realizzabile. L’idea di escludere la causalità dalla
politiche legate alla gestione di tali dati.
Le generazioni future dovranno quindi fare
ancora i conti con il vecchio metodo scientifico, anche se certamente la enorme quantità di dati influenzerà il modo di produrre conoscenza. Un termine è già stato creato, la data - driven science.
Fonti
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LE GIOVANI GENERAZIONI VOGLIONO BRAND “VERI”
di Simonetta Pattuglia*
Nell’epoca dell’attuale “perma-crisi” in cui coesistono crisi post pandemica, bellica e quella data dal cambiamento climatico, come talune nostre ricerche hanno dimostrato negli ultimi anni, è emersa una vera e propria ricerca dell’autenticità da parte delle persone come forse mai sentita sinora.
degli Alpha (dal 2010 in poi), o anche dei tardo Millennials (1990-2000) – scelgono di comprare sempre più volentieri da chi dimostra di stare sul mercato in maniera “autentica”. Autenticità significa sincerità, trasparenza, capacità di fare, ossia produrre, distribuire, comportarsi,
oltre che dire e mostrare, ossia comunicare e promuovere. Vuol dire coerenza nel tempo, di visione, missione, operatività. Coerenza fra la promise delle organizzazioni e la proof, l a prova provata che non c’è un mare fra il dire e il fare!
Le nuovissime generazioni – parlo della GenZ (nati dal 2000 al 2010 grosso modo),
Che non c’è enfasi mistificatoria sulle
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*Professoressa aggregata in Marketing - pattuglia@economia.uniroma2.it
caratteristiche di prodotti e servizi, brand e compagnie, che non v’è spettacolarizzazione comunicativa, che non sussiste l’incantamento dei serpenti mediatici. L’autenticità dei brand, come oggi richiesta dalle giovani e dai giovani al momento della costruzione della loro esperienza di scelta, consumo o adesione, significa rispetto di ciò che si è, e si era nel passato, e di tutto ciò che è diverso da sé, difforme dal codice della presunta “massa” che tradizionalmente è stata l’obiettivo primario del marketing e della comunicazione.
esprimersi come vero, personale, distintivo.
Si sono elevate le aspettative delle persone verso un’autenticità richiesta a tutti gli attori della società e del mercato, verso una promessa che non solo le aziende, ma tutte le organizzazioni debbono onorare comunicando e concretizzando azioni nei loro contesti competitivi. Abbiamo cominciato a sentire la pressione di questa nuova responsabilità, che riguarda tutte le generazioni, non solo la “generazione Greta”, che ha pur fatto da traino. L’agenda sostenibile deve oggi essere in grado di farci arrivare a un bilanciamento intelligente fra le tre “p”, persone-pianeta-profitto, se la nostra forma di capitalismo evoluto vuole continuare a esistere.
Ciò implica, di converso, per le aziende, agire per la costruzione oltre che di un fatturato e di una posizione quantitativa sul mercato, di una posizione qualitativa, fatta di credibilità e di fiducia da conquistare giorno dopo giorno e non attribuita una volta e per sempre senza verifica costante.
Ne è derivata – e la pandemia ha velocizzato questo megatrend , non lo ha inventato! – una nuova cultura manageriale tipica di questa fase storica che è stata definita “stadio funzionale dell’autenticità” in cui l’autenticità diviene un vero e proprio fattore produttivo e in cui il management è chiamato a
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Non parliamo di semplice storytelling che spesso diviene washing-green o pink – declinato in un continuo aggiornamento del politically correct o della cancel culture – ma di cambiamento che conduce a profonde forme di creazione di valore e di sua distribuzione lungo tutte le filiere produttive. Nell’universo della pubblicità, del marketing, di tanti settori a partire dai tecnologici e dalla moda pionieri delle nuove tendenze, l’ideale
dell’autenticità viene riassunta in claim e mantra efficaci: «Be Yourself» (Calvin Klein), «Non imitate ma innovate!» (Hugo Boss), «Divieni ciò che sei» (Lacoste), l’indimenticabile «Think different» (Apple) e di recente «Spogliamoci degli stereotipi» (la body positivity & neutrality per Coop). L’autenticità è brandita anche dalle marche del lusso (per Lipovetsky lo chic-ribelle) e non più solo dai movimenti boycott e anti-istituzionali.
Si realizza il passaggio epocale da una sostenibilità talvolta (mal) tollerata, vissuta come obbligo normativo nelle imprese, o
solo comunicata e sbandierata, ad una
sostenibilità praticata con costanza e profondità nella vita aziendale determinando l’allineamento fra purpose d’impresa e identità.
Un’identità, finalmente, autentica.
Fonti
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DIABETE: GENERAZIONI DI TERAPIE
di Aikaterini Andreadi*
l’insulina iniettabile. Nel diabete tipo 2 sono utilizzate anche altre terapie, a iniziare dalla vecchia “signora metformina”, un farmaco che migliora la sensibilità all’insulina e agisce sul fegato riducendone la produzione di glucosio. Sono poi venute le sulfaniluree, ormai abbandonate, che aumentavano notevolmente la produzione di insulina dal pancreas, con conseguente aumento di episodi di ipoglicemia. Nel XX secolo sono stati introdotti i glinidi, che aumentano la produzione di insulina per alcune ore, i glitazoni, che riducono la resistenza all’insulina, e gli inibitori dell’enzima intestinale glucosidasi, il cui principale rappresentante è l’acarbosio, che impediscono la digestione e l’assorbimento di alcuni zuccheri nell’intestino.
Oltre un secolo dopo la scoperta dell’insulina, la terapia del diabete è ancora in costante evoluzione.
Nel 2021, la Federazione Internazionale del Diabete (IDF) ha calcolato che nel mondo ci siano 536,6 milioni di persone tra i 20 e i 79 anni (il 9,2% degli adulti) affette da diabete e che altri 1,2 milioni di bambine/i e adolescenti (0-19 anni) siano affetti da diabete di tipo 1. Oltre alla terapia insulinica, esiste la possibilità di utilizzare farmaci contro la patologia diabetica con importanti effetti anche a livello cardiovascolare e renale. Diversi farmaci per ridurre la glicemia sono disponibili in base al tipo di diabete. Nel diabete tipo 1, a oggi, la terapia è
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*Assegnista di ricerca in Endocrinologia - andreadi@med.uniroma2.it
La più recente generazione di terapie include tre gruppi di farmaci antidiabetici che hanno portato a una sostanziale evoluzione dell’approccio terapeutico.
Gli incretino-mimetici aumentano la produzione di insulina dal pancreas in base alla concentrazione di glucosio nel sangue e riducono la produzione di glucosio dal fegato. Gli agonisti del recettore dell’ormone intestinale GLP-1 (GLP-RA), somministrati principalmente per via iniettiva, agiscono come il gruppo precedente, ma hanno anche un’efficacia importante nel ridurre il peso corporeo. Infine, le gliflozine (SGLT2i) causano un aumento dell’escrezione di glucosio nelle urine, riducendo la pressione arteriosa e il peso corporeo. Poiché il diabete è una malattia che causa danni vascolari, sono spesso le complicanze cardiache e renali a peggiorare il quadro clinico.
La malattia coronarica, l’insufficienza cardiaca e la malattia renale cronica sono le tre complicanze più comuni nel corso della patologia diabetica. Negli ultimi anni, nei congressi diabetologici internazionali, sono stati presentati importanti studi clinici, che hanno coinvolto migliaia di pazienti ai quali è stato somministrato (insieme ad altre terapie antidiabetiche) uno di questi nuovi farmaci o un placebo per molti anni. Questi studi riguardano la loro efficacia sia nel controllo del diabete che nel loro impatto sul cuore e sui vasi sanguigni. La maggior parte dei farmaci non ha un effetto negativo sulle complicanze cardiovascolari. Tuttavia,
sembra che i farmaci dell’ultimo gruppo (le
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gliflozine), così come la liraglutide e la semaglutide (farmaci del penultimo gruppo), abbiano anche effetti benefici aggiuntivi sul cuore e riducano alcune complicanze cardiovascolari. Pertanto, le società scientifiche hanno promosso nuove linee guida per il controllo del diabete e la prevenzione delle complicanze cardiovascolari. I farmaci di nuova generazione mettono terapie mirate a disposizione di medici e pazienti, riducendo la probabilità di peggioramento e migliorando il controllo glicometabolico. Le linee guida globali hanno subito un radicale cambiamento, mirando alla personalizzazione e alla possibilità per le persone diabetiche di ricevere una terapia attentamente pianificata, valutando se già ha una malattia cardiovascolare stabilita o molti fattori di rischio per essa. Questi sviluppi, che si riflettono anche in studi che mostrano un aumento della durata della vita delle persone affette da diabete e un miglioramento della loro qualità di vita, suscitano ottimismo tra ricercatori, ricercatrici, medici e pazienti.
Fonti
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SPAZIO, LABORATORIO PER UN FUTURO SOSTENIBILE
di Loredana Santo*
Lo spazio, che da sempre affascina l’essere umano, rappresenta una delle sfide più grandi per l’umanità, come evidenziano le numerose missioni istituzionali e commerciali messe in campo negli ultimi decenni. Non solo l’esplorazione legata alla ricerca scientifica, ma anche l’idea che un giorno l’essere umano possa vivere su nuovi pianeti (Luna, Marte)
contribuiscono a promuovere una nuova cultura spaziale in diversi settori. In particolare, la ricerca legata ai temi spaziali, realizzata sulla terra o nello spazio, si fa promotrice di sostenibilità in tutti i suoi aspetti, permettendo di raggiungere risultati sempre migliori. È in questa prospettiva che dobbiamo
guardare alla c.d. sostenibilità spaziale e costruire uno “spazio sostenibile” per le future generazioni, che avranno un ruolo chiave nel complesso percorso verso la sostenibilità. Il concetto di sostenibilità spaziale non si limita a definire missioni e ricerche che impattino poco in termini di inquinamento ambientale,
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*Professoressa ordinaria in Tecnologie e Sistemi di Lavorazione - loredana.santo@uniroma2.it
ma rimanda a una visione di spazio sostenibile anche in ambito sociale e culturale, economico e tecnologico. Lo spazio, dunque, come laboratorio per la sostenibilità, sia sulla terra sia nell’universo più profondo. Uno spazio sostenibile ha moltissime implicazioni tra cui – pensando ad esempio alla possibile vita su nuovi pianeti – l’attenzione per lo sfruttamento delle risorse, la contaminazione dei nuovi ambienti, la fabbricazione sostenibile nello spazio, l’adattamento dell’essere umano ai nuovi ambienti, l’alimentazione funzionale, la medicina spaziale attenta ai nuovi bisogni, i nuovi sistemi di comunicazione sostenibili, la regolamentazione giuridica e la cooperazione spaziale. Altro elemento importante è l’educazione alla cultura spaziale che deve comprendere necessariamente un approccio multidisciplinare e puntare al benessere dell’umanità di concerto con l’ambiente che lo ospita, che sia la Terra o lo spazio stesso. L’Università
ha un ruolo chiave in questo scenario perché, sia in ambito della didattica sia di ricerca scientifica e tecnologica, può approfondire tutti questi temi e diffondere la cultura e la scienza spaziale. L’Università di Roma Tor Vergata da decenni è leader in tale settore, e in diversi ambiti, tra cui: le telecomunicazioni, l’osservazione della terra, materiali e tecnologie, biomedicina spaziale, astrobiologia, meccanica celeste, esplorazione spaziale, fino ad abbracciare anche il diritto internazionale e la visione
dello spazio nelle diverse culture.
L’Ateneo di Tor Vergata, inoltre, può contare su contatti e collaborazioni con prestigiosi enti di ricerca, agenzie spaziali, università europee e internazionali. Attualmente è impegnata in importanti progetti di formazione e di ricerca scientifica per lo studio e la promozione della cultura spaziale, rivolti principalmente alle nuove generazioni, come ad esempio il progetto UNIVERSEH 2.0 nell’ambito dell’Alleanza delle Università Europee per lo
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spazio di cui l’Ateneo è partner, e come membro di “Space It Up”, il consorzio italiano che si occuperà di ricerca spaziale nei prossimi anni. Le generazioni future nell’ambito della sostenibilità spaziale hanno un ruolo strategico, a partire dallo sviluppo di una loro profonda sensibilità verso questi temi, grazie a opportuni percorsi culturali, e dal perseguire i loro sogni,
perché il sogno è il motore che fa raggiungere obiettivi impensabili. Le nuove
astronaute, gli scienziati e le scienziate possano motivare i giovani e contribuire a divulgare lo sviluppo della sostenibilità spaziale nella società attraverso diversi canali e promuovendo iniziative innovative per un coinvolgimento sempre più ampio dei giovani che verranno su una tema così
generazioni devono cogliere le sfide del
presente e tramutarle in opportunità per un futuro che sia sostenibile. Conoscenza, dedizione, equilibrio, intraprendenza, creatività e passione sono parole chiave in questo percorso. L’augurio è che gli attuali protagonisti dello spazio, le agenzie spaziali
sfidante e certamente strategico per il futuro dell’umanità.
internazionali, i nuovi astronauti e le nuove
Fonti
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COSTITUZIONI PER GENERAZIONI FUTURE
di Marco Fioravanti*
Sarà la Rivoluzione americana che per prima azionerà il rapporto tra generazioni future e potere costituente, considerato quest’ultimo il vero elemento discriminante tra l’antico regime e l’età dei diritti. Il ricorso al potere costituente comporterà un’istanza di emancipazione e una richiesta di partecipazione dal basso. Thomas Jefferson – il redattore della Dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776 – concettualizzerà prima di altri il rapporto tra quella forma di sovranità allo stato puro che è il potere costituente con il
rispetto dei diritti delle generazioni future e l’idea che nessuna generazione può frenare la libertà, l’iniziativa, la fantasia di quelle successive con regole troppo rigide e immodificabili. Il popolo è il primo e ultimo momento di fondamento del potere, così come della sua critica e contestazione. Ed è proprio tramite l’incontro di Jefferson, ambasciatore a Parigi dal 1784 al 1789, con il marchese di Condorcet, che le idee rivoluzionarie e costituenti americane giungono in Francia contribuendo a innescare la miccia rivoluzionaria.
Le Rivoluzioni atlantiche del Settecento – che
tradizionalmente si riducevano a quella americana e quella francese, ma che negli ultimi anni vengono affiancate a quella haitiana condotta da Toussaint Louverture per la liberazione degli schiavi – sentono l’esigenza non solo di ripensare il rapporto “con” e “tra” le generazioni, ma di modificare proprio la relazione con il tempo e con il suo computo.
*Professore associato in Storia del diritto medievale e moderno - marco.fioravanti@uniroma2.it
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L’utopia rivoluzionaria, che cerca nel passato la garanzia e la forma dell’avvenire, avanza voltandosi sempre indietro, penetrando il futuro con gli occhi rivolti al passato, come l’Angelus Novus di Paul Klee che ha ispirato le riflessioni del filosofo marxista ebreo-tedesco Walter Benjamin. Come una grande catena dell’essere – di cui ha parlato Arthur O. Lovejoy – lega una generazione all’altra, la catena del tempo può essere spezzata rivendicando il diritto delle generazioni future a scrivere e riscrivere la propria costituzione e la propria storia. Questo fermento culturale troverà una ricaduta istituzionale nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 24 giugno 1793 che precedeva l’Atto costituzionale giacobino dove, all’art. 28, si può leggere che «un popolo ha sempre il diritto di rivedere, riformare e Condorcet, con la tenacia della sua mathématique sociale, tenta di realizzare il sogno rivoluzionario di una società rigenerata attraverso l’insegnamento repubblicano, che incarna in questo momento il “potere demiurgico” della società nei confronti della felicità degli individui. E quest’insegnamento sarebbe servito a dotare le generazioni degli strumenti per rivedere, discutere, contestare e infine cambiare il “contratto sociale” (cioè la Costituzione) che le generazioni precedenti avevano (idealmente) firmato.
cambiare la propria costituzione. Una generazione non può assoggettare alle sue leggi le generazioni future».
Una lunga tradizione storica che trova oggi
nuove rivendicazioni che fanno della solidarietà nei confronti delle generazioni future, dello sviluppo sostenibile e della tutela dell’ambiente e degli animali la nuova agenda politica. Tutti diritti questi ultimi, fortemente imbricati tra loro, che hanno trovato un momento di ricaduta istituzionale con la recente riforma della Costituzione dell’11 febbraio 2022. Tra i principi fondamentali, la Repubblica deve tutelare, oltre il paesaggio e il patrimonio storico-artistico, anche l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, nell’interesse delle generazioni future.
Fonti
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Le rubriche
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Forum UNIVERSITÀ– LAVORO. A maggio il Career Day di A.L.I.T.U.R.
Un’associazione nata dalla volontà e dalla caparbietà di soli cinque studenti e che oggi, 31 anni dopo, raccoglie numerose studentesse e studenti di tutti i corsi di studi ingegneristici, uniti dalla medesima passione e dalla stessa voglia di creare momenti di incontro, confronto e approfondimento culturale, scientifico e lavorativo. Da questo spirito e ispirandosi al modello francese delle Grandes Ecolles, nasce il FORUM UNIVERSITÀ – LAVORO , un appuntamento che annualmente indirizza, accompagna e sostiene tutte e tutti coloro che sono in cerca di lavoro o intendono personalizzare la propria formazione in funzione di un più agevole inserimento sul mercato. L’iniziativa, che si pone l’obiettivo di creare nuove opportunità lavorative,
di Federica Lorini, Emanuela Liburdi*
«Mens discendo alitur» (la mente si accresce apprendendo): è da questa frase di Cicerone che nel 1993 l’allora Preside della facoltà di Ingegneria, Franco Maceri, trovò l’ispirazione per coniare l’acronimo e il motto di A.L.I.T.U.R. (Associazione Laureati in Ingegneria di Tor Vergata, Università di Roma).
*Ufficio Comunicazione di Ateneo - federica.lorini@uniroma2.it , emanuela.liburdi@uniroma2.it
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consolidando i rapporti tra mondo aziendale e mondo universitario, quest’anno si terrà martedì 14 maggio presso gli spazi della Macroarea di Ingegneria. Trentun anni di esperienza e varie generazioni di studenti hanno reso il Career-Day A.L.I.T.U.R. uno dei momenti formativi e informativi più interessanti per laureande/i e laureate/i. A disposizione dei e delle partecipanti un ricco programma di presentazioni aziendali, conferenze, attività di recruiting, revisione gratuita dei curricula, spazi placement, stand informativi e tanti altri servizi dedicati alla
comunità studentesca di ciascuna macroarea/facoltà. Un’occasione di incontro, confronto e spunto tra studenti e aziende del panorama nazionale e internazionale in un reciproco rapporto di collaborazione che permette ai primi di affacciarsi alla realtà post-laurea e alle seconde di presentarsi, raccontando percorsi di crescita e casi di successo. L’evento è patrocinato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, dal Presidente del Consiglio regionale del Lazio, dal Comune di Roma, dal Municipio VI e da Lazio Disco. Info su aziende presenti e modalità di partecipazione www.alitur.org
Wonny, author drawing
«I’m Geekiyanage Wonara a 22 year old Bachelor's
might not have had before. Through my art, I also want to emphasize the importance of peaceful coexistence among individuals from different generations, advocating for mutual respect and the exchange of knowledge and experiences».
student in Business Administration and
Economics in Tor Vergata University and passionate digital artist based in Rome, originally from Sri Lanka. In my artwork, I strive to portray how people from different generations come together to give the next generation opportunities, ideas and happiness they
Studentessa in Business Administration - rushiwona221@gmail.com
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Second-hand, siamo pronti all’economia del riuso?
A rispondere a tale quesito può aiutarci l’economia comportamentale, quella branca dell’economia che incorpora concetti delle scienze comportamentali e psicologiche nell’analisi del
di Luca Congiu*
comportamento economico. Nello specifico,
Il second-hand (o riuso) è una delle pratiche chiave dell’economia circolare, volta a limitare il dispendio delle risorse necessarie a produrre beni nuovi. Rimane una pratica poco diffusa, nonostante si registri un certo interesse per il fenomeno, specie tra le giovani e i giovani. Ci si chiede allora: se sono chiare le ragioni che spingono al riuso, quali sono i fattori che lo ostacolano?
l’economia comportamentale studia l’effetto di limiti cognitivi, emozioni e influenze sociali, e come questi portino a deviazioni dal comportamento razionale, noti tecnicamente come “bias”. Tali bias vengono indagati attraverso esperimenti di laboratorio, sul campo, basati su questionari e online. Dunque, cosa ci dice l’economia comportamentale rispetto ai bias che sottostanno le scelte di riuso?
*Ricercatore di tipo A in Economia – Programma Operativo Nazionale “Ricerca e Innovazione” - luca.congiu@uniroma2.it
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Prima di tutto, il second- hand è particolarmente soggetto a influenze sociali. I prodotti che possediamo – e in particolare quelli che indossiamo – contribuiscono fortemente alla creazione della nostra immagine e della nostra identità. L’utilizzo di prodotti usati, generalmente percepiti come di minor valore rispetto ai nuovi, potrebbe esporre l’individuo a stigma sociale e ledere l’immagine di sé. Questo chiaramente contrasta con la tendenza delle persone a mantenere una parvenza positiva e un’identità sociale che non sia soggetta a pregiudizio e svalutazione. Alcuni bias comportamentali, invece, sono specifici per la categoria di prodotto in considerazione . Ad esempio, le persone possono essere riluttanti a indossare vestiti di seconda mano per motivazioni igieniche, in quanto temono di essere in qualche modo “contagiati”. Tuttavia – e qui appare evidente la deviazione da un giudizio razionale – non c’è ragione di credere che un capo
usato possa porre più rischi rispetto a uno nuovo: le comuni procedure di igienizzazione li riducono nella stessa misura per capi nuovi e usati. Lo stesso vale per l’acquisto di smartphone e dispositivi elettronici ricondizionati. Rispetto a questa pratica, le persone riportano generalmente preoccupazioni circa i rischi di malfunzionamento. Anche queste hanno una base cognitiva ed emotiva: cognitiva, in quanto si tende a sovrastimare la probabilità di incorrere in un evento avverso e la severità del relativo danno. Fenomeni rispettivamente noti come la cosiddetta
distorsione pessimistica delle probabilità e avversione per la perdita; emotiva, in quanto la tendenza è di evitare disappunto e rimpianto per non aver scelto un bene nuovo qualora il bene usato dia problemi. I bias comportamentali
sono chiaramente molteplici e la loro
individuazione è ancora una questione aperta. Mappare la relazione tra bias e comportamento sostenibile consente di progettare interventi volti a limitarne gli effetti avversi e favorire così l’economia circolare. Soprattutto in una fase di inflazione elevata.
Fonti
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Specializing at Tor Vergata University of Rome thanks to Erasmus+. An interview with Ursule Kengne
incoming students from Cameroon studied and interned at the School of Medicine and Surgery under the agreement overseen by Professor Calogero Foti, promoting internationalization aligned with the university’s strategy.
di Florinda Magliulo, Marco Tirone*
The Erasmus+ Program, through the International Credit Mobility KA107 (K171) initiative, champions global higher education by promoting mobility beyond EU borders. Tor Vergata University of Rome has expanded its range by applying for grants in five regions across approximately 12 countries and 28 institutions. In fact, last year, 12
To better understand this journey, we interviewed Ursula Kengne, one of our 12 students from Cameroon, about her personal experience during the Erasmus+ International Credit Mobility KA107 program at University of Rome Tor Vergata:
*Welcome Office - welcome@uniroma2.it
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«Hi, I’m Kengne Ursule, a 24-year-old Physiotherapy student at Dschang University. Through the K171 program, I had my first European experience at Tor Vergata University during my internship. Interacting with students from different countries was enriching. It facilitated discussions on language learning, patient diagnosis, Physiotherapy services, and cultural exchange».
1.What was your most significant moment during your time at Tor Vergata University, and how did it influence your personal development? «My most significant moment was the first day we went to the hospital to meet the staff of the physiotherapy unit, especially Professor Calogero Foti. The way they received us was simply wonderful. They were very humble and welcoming, and I truly appreciated that». 2.How did you handle the challenges related to life abroad, such as language barriers, adapting to a new culture, and being away from family and friends? «I faced a few challenges with the Italian language because, before traveling, I had only learned a bit of it. Fortunately, our supervisors primarily spoke English to ensure clear communication among us.
Adapting to the culture wasn’t too difficult because my environment was always supportive. While I did feel sad at times due to being physically distant from my family, I understood it was for a good cause, and I was eager to gain new experiences». 3.What skills have you acquired or strengthened through the Erasmus+ experience, and how do you think you can use them in the future? «A skill I have strengthened during my experience with the Erasmus+ Program is the rehabilitation and
reconditioning of the pelvic floor for women with pelvic floor disabilities. I aspire to specialize in this field in the future». 4.How would you evaluate your relationship and interaction with the professors at Tor Vergata University during the internship, and how has this collaboration contributed to your professional development? «My interaction with the professors at Tor Vergata University was very smooth. I could easily approach them for any situation, and I am very thankful for all they did for me during that program. I’m grateful for the Erasmus+ Program because it has not only allowed me to have a new academic experience but also to enrich myself personally».
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Grafene e alluminio: il futuro elettrico green
metallici per migliorarne le caratteristiche superficiali e le proprietà termo- elettriche. Questo è infatti un super materiale bi-dimensionale che attualmente gode di grande interesse per le sue eccezionali capacità di conduzione elettrica e termica, a fronte di una densità straordinariamente bassa.
di Daniel Salvi*
Sono un dottorando al secondo anno del dottorato in Ingegneria della Progettazione e Produzione industriale del dipartimento di Ingegneria dell’Impresa. In particolare, lavoro nel laboratorio di Tecnologie e Sistemi di lavorazione.
Per via dell’attuale importanza dell’efficientamento energetico la parte più
rilevante della mia attività di ricerca è l’ottenimento di rivestimenti in grafene che migliorino la conduttività termica ed elettrica dei componenti, riducendo dissipazioni di energia.
La mia attività di ricerca tratta principalmente la produzione di rivestimenti in grafene su materiali
*Dottorando in Ingegneria per la Progettazione e Produzione Industriale - daniel.salvi@uniroma2.it
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Fiocchi di grafene ad un ingrandimento x12000
Dai primi test svolti, i nostri cavi alluminio-grafene ottengono un miglioramento della conduttività elettrica fino a circa il 4% e un aumento delle performance termiche superiore all’80%. Altro aspetto molto stimolante della mia attività di ricerca è la possibilità di studiare una tecnologia che possa ridurre l’impatto ambientale del trasporto di energia elettrica, dando un contributo di valore alla sostenibilità. Pensando infatti a un componente con un elevato tempo di esercizio, i miglioramenti ottenuti fino ad ora, potranno portare a risparmi energetici particolarmente significativi riducendo lo spreco di energia elettrica, favorendo l’uso di conduttori leggeri e sostenibili per la mobilità green.
La crescente domanda di energia e il rapido sviluppo della mobilità elettrica rende fondamentale l’ottimizzazione del trasporto dell’elettricità per mantenere bassi i costi e l’impatto ambientale. Esistono diverse tecniche per aumentarne le proprietà termoelettriche, ma è fondamentale utilizzare una tecnologia economica, che consenta la produzione di grandi volumi e che sia anche sostenibile, ed è proprio questo lo scopo finale della mia attività in laboratorio. Inoltre, il nostro gruppo di ricerca ha iniziato il progetto “ALIANTE” con l’azienda Tec.Al.Co. s.r.l., una realtà industriale italiana specializzata nella produzione di conduttori elettrici in alluminio, con
l’obiettivo di produrre cavi elettrici di questo materiale ad elevate performance per la mobilità green. L’opportunità di poter fare ricerca collaborando con un’azienda è, dal mio punto di vista, estremamente interessante; infatti, si ha la possibilità di seguire la propria attività di ricerca anche oltre le mura del laboratorio e poterne vedere applicazioni nella vita di tutti i giorni. Inoltre, lavorare anche a contatto con le aziende mi consente di affrontare nuove sfide per riuscire a rendere industrializzabile ciò che viene sperimentato in università, imparando a ragionare non solamente in ottica accademica, ma tenendo anche conto delle esigenze industriali delle imprese.
Fonti
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Infinite generazioni
di Roberto Braglia*
Le piante come tutti gli organismi viventi per affermarsi, conquistare nuovi spazi e garantire la loro sopravvivenza nel tempo si riproducono investendo gran parte delle proprie risorse tanto che alcune specie sacrificano la propria stessa vita per generare la progenie come le agavi. Al contrario di noi esseri umani le piante possono riprodursi anche in modo autonomo per via vegetativa, senza cioè l’unione di due diversi individui, dando vita a una generazione del tutto identica al genitore, ovvero un clone di sé stessa. Questa capacità delle piante deriva da una sorprendente caratteristica delle cellule vegetali, la totipotenza. La totipotenza è la capacità di una cellula di dare origine a qualsiasi altra cellula, tessuto, organo o intero individuo. A differenza degli animali in cui solo le cellule staminali hanno questa caratteristica, le cellule vegetali la posseggono tutte, anche quelle differenziate, potendo quindi tornare ad essere cellule totipotenti (meristematiche) da qualsiasi stadio di sviluppo. Grazie a questa caratteristica le piante possono rigenerare parti di loro stesse, come ad
esempio far ricrescere un ramo dopo una potatura.
Nelle immagini sono rappresentate le diverse fasi della rigenerazione in vitro di piante carnivore della specie Drosera nidiformis Debbert a partire da colture di cellule meristematiche, con questa tecnica con una singola cellula è possibile produrre infinite generazioni di plantule. A sx, plantule rigenerate. Sotto, ammassi di cellule meristematiche anche dette “calli” e primi germogli di plantule.
*Coordinatore dell’Orto Botanico dell’Università di Roma Tor Vergata - roberto.braglia@uniroma2.it
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LIBERTÀ è il focus tematico del prossimo numero. Se desideri contribuire con un approfondimento dedicato al tema, invia la tua proposta (titolo e abstract di massimo 150 parole) a uninews@uniroma2.it entro il 30 aprile. La tua partecipazione è importante per noi!
Za naszą i waszą wolność Per la nostra e la vostra libertà
Motto dell’Insurrezione di Varsavia, 1831
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